Recensione - Journey to the Savage Planet
di
Mirko Rossi / Thor
P
Il Gioco
Journey to the Savage Planet è un gioco d’avventura in prima persona, affrontabile in singolo o in modalità cooperativa online, che mette il giocatore nei panni di un inesperto esploratore spaziale inviato in una regione sconosciuta del cosmo dalla Kindred Aerospace, una pittoresca compagnia specializzata proprio in questo tipo di missioni. L’obiettivo del “generico” protagonista è semplice: scoprire nuove risorse da sfruttare e nuovi pianeti sui quali trasferire il genere umano nell’eventualità, non così remota, di una catastrofe irreversibile. Dico generico sia perché la recluta non ha un’identità ben definita, sia perché il nostro alter-ego non è l’unico esploratore lanciato nello spazio da Martin Tweed, il bizzarro CEO della compagnia aerospaziale. Tanti altri astronauti sono infatti stati inviati un po’ ovunque nella galassia con lo stesso incarico principale e il medesimo l’equipaggiamento. Ogni missione prevede due sole attività, ovvero l’esplorazione e la catalogazione di quanto presente sul pianeta assegnato, siano esse risorse o forme di vita aliene, e per portarle a termine, anche in un’ottica di “ottimizzazione dei costi e dei pesi”, la Kindred Aerospace mette a disposizione dei propri dipendenti solo una tuta spaziale dotata di scanner e una potente stampante 3D, invitando di fatto gli esploratori a recuperare sul pianeta e/o creare da zero il resto sfruttando le risorse raccolte in loco, incluso il carburante necessario per poter tornare a casa dopo aver completato quelle che, almeno sulla carta, dovrebbero essere missioni di routine su pianeti privi di pericoli.Dovrebbero, appunto. AR-Y 26, il pianeta che ci è stato assegnato, non è come tutti gli altri. Oltre alla fauna e alla flora locale, che oserei definire “caratteristiche”, sul piccolo corpo celeste sono infatti presenti segni evidenti del passaggio di altre forme di vita intelligenti. Su tutti, una gigantesca torre che svetta a poca distanza dal punto di atterraggio della nostra nave spaziale. Ecco quindi che le cose si complicano e gli obiettivi aumentano: oltre a catalogare quanto più possibile e trovare il modo di tornare a casa, il protagonista deve anche investigare sulle origini della misteriosa struttura e fare rapporto ai proprio superiori. O, forse, sarebbe meglio usare il condizionale anche in questo caso. Journey to the Savage Planet infatti non obbliga il giocatore a completare nessuno degli incarichi sopracitati, lasciandolo libero di gestire come preferisce il proprio destino. Ci si può dedicare anima e corpo agli aspetti più scientifici, studiando quante più creature e risorse possibili con il proprio scanner e portando a termine i bizzarri esperimenti che ci vengono progressivamente inviati dalla base, decidere di mettere completamente da parte questo aspetto per scoprire quali misteri cela la torre o, perché no, scegliere di non complicarsi troppo la vita e concentrarsi solo sulla ricerca del carburante necessario per rientrare sulla Terra senza preoccuparsi di portare a termine il proprio lavoro. La scelta è nelle mani del giocatore e, comprensibilmente, porterà ad epiloghi differenti raccontati, così come tutti gli altri svincoli della trama, attraverso i video messaggi inviati al protagonista da Martin Tweed.
MX Video - Journey to the Savage Planet
Questo vuol dire che ci troviamo di fronte a un titolo free-roaming ambientato in un paradisiaco angolo dell’Universo? Ovviamente no. Dopo aver “stampato” un’arma di fortuna ed essere sceso dalla propria astronave, il giocatore scopre infatti che il lussureggiante pianeta sul quale si trova in realtà è un luogo molto pericoloso, sia per via dei numerosi predatori presenti sia a causa di una conformazione ricca di ostacoli da superare, anche risolvendo semplici enigmi, e zone pericolose nelle quali è facile perdere la vita. Per sopravvivere, almeno nelle fasi iniziali, il giocatore non può fare altro che affidarsi alla propria pistola e alle abilità base del personaggio mentre cerca di sfruttare al meglio quanto in suo possesso, come la disgustosa sbobba sintetizzata che la Kindred Aerospace fornisce come cibo ai propri dipendenti e che sembra avere un effetto quasi assuefacente su alcune delle prime forme di vita nelle quali ci si imbatte, che possono di fatto essere usate a proprio vantaggio in vari modi differenti, non tutti propriamente etici.
Su AR-Y 26 sono però presenti diverse tipologie di risorse naturali, che possono essere raccolte o recuperate, sempre con metodi più o meno discutibili, dalle rocce e dalle forme di vita indigene e che si rivelano fin da subito fondamentali per incrementare le proprie statistiche base o per stampare nuovi oggetti e modifiche attraverso la preziosa stampante installata a bordo dell’astronave. Questa operazione consente al giocatore di potenziare le caratteristiche base del proprio equipaggiamento o di sbloccarne di nuove, così da poter sfruttare nuove abilità o nuovi gadget, come rampini o propulsori, che gli consentano di proseguire nella propria missione. L’insieme di tutti questi elementi rappresenta l’ossatura base attorno alla quale si sviluppa praticamente tutti il gameplay del titolo, che nelle fasi esplorative abbraccia elementi tipici dei platform, dei metroidvania e dei puzzle game e che, nelle fasi più action, si concede anche una deriva verso il genere FPS, il tutto però condito dalla necessità costante di sfruttare a proprio vantaggio l’ambiente e le risorse per proseguire e per avere la meglio sui numerosi predatori presenti sul pianeta. La peculiare conformazione del pianeta AR-Y 26, ricca di crepacci, di pareti da scalare e di aree nascoste, prevede infatti che il giocatore sfrutti a proprio vantaggio molti elementi naturali, come le melme elastiche o gli appigli naturali, e che li combini con le abilità del personaggio in situazioni via via sempre più articolate.
Anche gli scontri, inclusi quelli a suon di schiaffoni, seguono questa particolare filosofia. Tutti i nemici, inclusi i boss unici, hanno infatti dei punti deboli che possono essere rivelati attraverso lo scanner, molti dei quali prevedono l’utilizzo di secrezioni acide, di misteriose sostanze appiccicose o di pericolosi frutti elettrici. In aggiunta a questi “prodotti locali”, il protagonista può poi sempre contare sulla fidata pistola, che offre al giocatore due modalità di fuoco differenti e che può essere potenziata nel corso dell’avventura utilizzando la fida stampante 3D. Nonostante questa “imponente” capacità offensiva è comunque possibile che il protagonista finisca per andare incontro a una morte prematura, causata magari dall’attacco congiunto di un fastidioso Uccello Palla Infetto e di una pericolosa Caniena. La Kindred Aerospace ha però pensato a tutto, installando a bordo della nostra astronave un dispositivo capace di “bio-replicare” in tempo reale il nostro alter-ego in caso di improvvisa dipartita e di trasferire nel nuovo personaggio l’intero bagaglio di conoscenze senza controindicazioni, se si esclude la remota possibilità di malformazioni permanenti. Il processo di duplicazione non può però fare nulla per le risorse raccolte fino a quel momento, che rimarranno sulla superficie del pianeta in attesa di essere recuperate di fianco al nostro cadavere (mi raccomando, prendetevi sempre qualche secondo per dargli la giusta sepoltura!).
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