Recensione - Ghost Recon Breakpoint
Il Gioco
Benvenuti ad Auroa, un paradiso in cui le migliori menti del pianeta si sono riunite per studiare e progettare la tecnologia del futuro che migliorerà la qualità di vita dell’uomo. O almeno questa era l’intenzione originale di Jace Skell, capo della Skell Technology che si ritrova ora prigioniero delle sue stesse creazioni. L’isola di Auroa viene infatti totalmente isolata dal resto del mondo dopo un colpo di stato militare ad opera di Cole D. Walker, ex Ghost interpretato da Jon Bernthal (Shane in The Walking Dead e Punisher nella serie TV di Netflix); la scoperta avviene dopo che una nave della marina americana affonda misteriosamente nelle acque vicine ad Auroa, e la CIA invia una squadra di circa 30 Ghost ad indagare. Ma anche questa spedizione non va per il meglio: gli elicotteri che trasportavano gli agenti vengono abbattuti da qualcosa di praticamente invisibile non appena entrano nello spazio aereo dell'isola, e sta a noi nei panni del Ghost Nomad, uno dei pochi sopravvissuti a questo attacco, scoprire la verità dietro al tradimento di Walker e sventare una potenziale minaccia per il mondo intero.La prima cosa da fare prima di iniziare la nostra avventura è personalizzare l’aspetto di Nomad, tramite un editor abbastanza limitato se confrontato ad altre produzioni, ma comunque in grado di offrire una buona varietà nella creazione del nostro personaggio. Ed una volta entrati in azione, si notano subito alcuni degli aspetti che Ubisoft ha evidenziato in fase di marketing, ovvero una maggiore propensione verso il realismo e lo stealth: nelle prime fasi infatti Nomad è gravemente ferito e viene così introdotta la meccanica degli infortuni. A seconda della quantità di danni ricevuti, se non si interviene con le apposite cure continueremo a zoppicare e ad avere movimenti rallentati fino all’impossibilità di usare armi al di fuori della semplice pistola.
MX Video - Ghost Recon Breakpoint
A differenza di Wildlands, inoltre, Nomad non può contare su compagni di squadra controllati dall’IA (ma si può comunque giocare in cooperativa online), per cui nel caso si giochi in single player non potremo contare sul supporto di altri Ghost per effettuare uccisioni a distanza con un semplice comando, o per essere rianimati. Lo stealth quindi si rivela più che mai fondamentale, anche se alcune delle meccaniche precedenti possono essere “emulate” una volta sbloccato il potenziamento per il drone che permette di marcare ed eliminare un bersaglio, ma si tratta di un oggetto con usi limitati per cui non se ne può abusare più di tanto. Vengono introdotti anche degli elementi survival come la raccolta di risorse (piante, frutta, parti metalliche etc.) che possono essere combinate per creare nuove armi, accessori o potenziamenti temporanei, infine tramite la borraccia possiamo conservare dell’acqua presa da fiumi o laghi, da bere quando necessario per ripristinare la barra della fatica, che diminuisce ogni volta che ci sforziamo oltre i limiti.
In realtà, però, tutte queste novità alla fine si rivelano “di contorno”, e una volta iniziata la storia vera e propria partendo dal rifugio di Erewhon (che funge anche da hub dove trovare altri giocatori connessi), Ghost Recon Breakpoint si rivela per quello che è: uno shooter open world che riprende tantissime meccaniche sia da altri esponenti del genere sia da altri titoli Ubisoft, mescolandole in un calderone che forse aveva bisogno di ulteriore tempo per cuocere il tutto a puntino. Sia chiaro, Ghost Recon Breakpoint non è assolutamente un brutto gioco ma vive tuttavia di molti alti e bassi, e sembra soprattutto voler fare mille senza però riuscire a farne bene nessuna. Se dovessi definire un genere sinceramente non saprei da dove iniziare, ma verrebbe qualcosa di lunghissimo e pieno di paroloni del tipo “open world stealth tattico con elementi GDR, survival, e loot shooter”, e non sarebbe neanche completa come definizione.
Ed a proposito di loot shooter, tra le infinite influenze che hanno caratterizzato lo sviluppo di Ghost Recon Breakpoint è evidente la volontà di Ubisoft nel riprendere alcune caratteristiche dal suo The Division: l’isola di Auroa è letteralmente disseminata di casse tramite le quali ottenere equipaggiamenti di ogni tipo. Il livello di combattimento di Nomad viene definito dalla qualità del suo equipaggiamento, per cui è sempre una buona idea cercare di aprire più casse possibile nella speranza di trovare qualche arma, cappello, guanti e così via con statistiche migliori e magari qualche bonus passivo per essere sempre pronti ad affrontare nemici sempre più impegnativi... più o meno. Anche qui infatti Ubisoft non sembra aver bilanciato benissimo il tutto, e la differenza tra armi che nella realtà hanno potenze di fuoco anche molto diverse è abbastanza minima, quasi da non giustificare l’impegno nell’esplorare e magari rischiare di essere scoperti pur di raggiungere una cassa; ben presto la voglia di cercare loot viene meno e ci si limita a raccogliere solo le casse che si trovano sul nostro cammino, senza impegnarsi più di tanto nella ricerca.
Le differenze più significative si hanno solo con equipaggiamento di livello veramente alto, arrivati praticamente all’endgame, mentre per quasi tutta la durata della campagna ci sente quasi “ingannati” dal fatto che all’atto pratico la differenza di livello non influisce poi così tanto come ci aspetterebbe. Questo non vuol dire naturalmente che potete caricare a testa bassa in un accampamento con nemici di livello molto più alto del vostro, visto che comunque il game over è sempre dietro l’angolo, e già al livello di difficoltà normale se si viene scoperti può diventare un problema portare a casa la pelle. Anche se fortunatamente (o purtroppo, a seconda dei punti di vista) i nemici non effettuano respawn, per cui volendo si potrebbe anche effettuare una “guerra di logoramento” entrando in una base, uccidere quanti più nemici possibile, morire e tornare ripetendo finché non ci si libera di tutti gli avversari. Una tattica piuttosto disonorevole per un Ghost, ma ormai avrete capito che di tattica vera e propria ormai nella serie c’è solo un debole alone rispetto al passato.
Non manca tuttavia la possibilità di giocare in maniera “pulita” sfruttando il drone per studiare la zona e marcare la posizione dei nemici, sabotare gli impianti elettrici per oscurare la zona e affidarsi al visore termico per evitare le guardie o eliminarle silenziosamente, così come utilizzare diversi gadget come fiamme ossidriche per aprire varchi nelle recinzioni, dispositivi che distraggono gli avversari e così via. Le opzioni quindi per un’esperienza più da Ghost vero e proprio in realtà ci sono, semplicemente ben presto ci si accorge di come spesso ci siano metodi molto più veloci e meno cervellotici per raggiungere lo stesso risultato.
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