Recensione - Wolfenstein: Youngblood
di
Mirko Rossi / Thor
P
Il Gioco
Wolfenstein: Youngblood affonda le sue radici negli episodi "reboot" dell’omonima saga di sparatutto in prima persona e, pur essendo uno spin-off, ripropone molti degli elementi caratteristici che hanno permesso alla serie non solo di resistere al peso degli anni ma anche di candidarsi come una delle IP più interessanti delle ultime generazioni. A questi aggiunge però diverse interessanti novità: il titolo è infatti sviluppato a quattro mani da Machine Games, autori della serie principale, e Arkane Studios, software house famosa soprattutto per la serie Dishonored; un team-up che gli ha permesso di aggiungere al gameplay frenetico della serie una struttura più aperta delle missioni ed una gradita componente cooperativa, grazie all'introduzione delle due nuove protagoniste.Wolfenstein: Youngblood trasporta i giocatori all’inizio degli anni 80 e li mette nei panni di Jessie e Zofia, le figlie di William “B.J.” Blazkowicz, storico protagonista della saga. Quest’ultimo, dopo aver contribuito a gettare le basi per la Seconda Rivoluzione Americana ed essersi ritirato a vita privata insieme alla sua famiglia, scompare nel nulla, o quasi. Jess e Soph, questi i diminutivi con i quali si fanno chiamare le gemelle, decidono quindi di mettersi sulle sue tracce partendo dall’ultima posizione nota: Neo Parigi, una delle roccaforti più importanti del Reich nel vecchio continente. Una volta giunte in città, le due sorelle si vedono “costrette” a collaborare con la resistenza locale per ritrovare il padre e a contribuire, più o meno volontariamente, alla liberazione della città attraverso una serie di missioni, suddivise tra principali e secondarie, capaci di tenere occupato il giocatore per almeno 10/12 ore con un intreccio narrativo semplice ma comunque godibile e perfettamente integrato con il resto della saga.
MX Video - Wolfenstein: Youngblood
La struttura del gioco ricalca in modo abbastanza evidente quella di The New Colossus, con un hub centrale che ricopre il ruolo di base operativa dal quale è possibile raggiungere le varie zone della città, da dove prendono il via quasi tutti gli incarichi. Questi ultimi non si discostano molto dagli standard del genere e prevedono la raccolta di specifici oggetti, l’attivazione di meccanismi, il salvataggio di NPC e così via. A questo si sommano poi dei veri e propri “raid” ambientati negli edifici cardine del Reich, conosciuti come Brother, e alcune missioni generate casualmente durante l’esplorazione. Parlando con uno specifico NPC è inoltre possibile attivare alcune sfide, giornaliere e settimanali, o scegliere di rigiocare alcune delle missioni principali, così da ottenere ulteriori ricompense che possono poi essere spese, proprio come capitava nel precedente capitolo, per migliorare l’arsenale in possesso o per attivare dei bonus temporanei che consentono di incrementare per un una decina di minuti il tasso di raccolta delle munizioni o il livello massimo di salute e corazza. Nulla vieta inoltre ai giocatori di esplorare liberamente le varie zone di Neo Parigi per scaricare un po’ di proiettili sui malcapitati nazisti, per andare alla ricerca di collezionabili o per sfruttare alcune armi speciali, ottenibili nel corso dell’avventura, per aprire nuovi passaggi e contenitori inaccessibili fino a quel momento.
Pad alla mano, Wolfenstein: Youngblood restituisce lo stesso feeling dei suoi predecessori e permette nuovamente ai giocatori di decidere di volta in volta quale approccio utilizzare per superare una situazione, ma con qualche opzione in più. Si può optare per un’incursione silenziosa, sfruttando le capacità di occultamento delle due protagoniste e la loro letalità negli scontri ravvicinati, tentare di aggirare gli avversari trovando scorciatoie e passaggi alternativi, magari sfruttando il doppio salto acrobatico per raggiungere punti altrimenti inaccessibili, o passare alle maniere forti riversando quintali di proiettili sugli avversari, che come da tradizione si differenziano notevolmente gli uni dagli altri per livello di difficoltà, aspetto e punti deboli.
Le caratteristiche peculiari del nuovo Wolfenstein chiaramente non si esauriscono qui. La novità più grande riguarda infatti il fatto che durante l’intera avventura siamo accompagnati da nostra sorella, che può essere controllata sia dall'I.A., non particolarmente sviluppata ma comunque più che sufficiente, che da un compagno in carne ed ossa, che può essere reclutato tramite invito diretto o sfruttando il classico matchmaking. Nel secondo caso è inoltre fondamentale sottolineare che l’edizione Deluxe del gioco contiene il Buddy Pass, un contenuto aggiuntivo per chi possiede il gioco completo che gli permette di invitare nella propria partita qualsiasi altro giocatore, senza che questi debba necessariamente acquistare il titolo.
A sottolineare ulteriormente l’importanza della co-op ci pensano poi alcune interessanti modifiche al gameplay. La presenza di due protagoniste ha innanzitutto permesso agli sviluppatori di proporre ai giocatori due diversi stili di gioco, almeno nelle fasi iniziali dell’avventura. Prima di avviare una partita, si deve infatti decidere quale delle due sorelle impersonare e selezionare alcuni tratti distintivi, che andranno poi a influire sull’arma di base e sulle abilità speciali in nostro possesso. Attenzione però a non farsi trarre in inganno: come ben specificato nelle schermate iniziali, armi e abilità peculiari non sono ad appannaggio esclusivo di una delle due sorelle e potranno comunque essere ottenute nel gioco o sbloccate attraverso un classico skill-tree suddiviso in sezioni dove è possibile spendere i punti abilità accumulati completando le missioni o salendo di livello. La crescita del personaggio, oltre a garantire un incremento di alcune caratteristiche base, è fondamentale quando si tratta di scegliere quali incarichi affrontare e va ad influire dinamicamente sugli avversari che le due sorelle Blazkowicz incontrano per le strade della città, così da garantire al giocatore il giusto livello di sfida in quasi tutte le situazioni.
L’importanza della cooperazione non è però limitata alle sole differenze tra le due protagoniste. Jess e Soph, oltre alla salute personale, devono sempre fare attenzione a non esaurire le “Vite Condivise”. Quando una delle due sorelle viene abbattuta, infatti, inizia a sanguinare e l’altra può rianimarla entro un certo lasso di tempo. Se non ci riesce, o se viene abbattuta a sua volta, alle due sorelle non resta che consumare una di queste vite, che possono essere ottenute aprendo delle speciali cassi sparse qua e la, per tornare in vita. Esaurite le “Vite Condivise” si muore e si torna all’ultimo checkpoint, che nel caso dei raid significa dover ricominciare da zero l’intera incursione. Le protagoniste possono inoltre scambiarsi una lunga serie di “cenni di intesa”, che non sono altro che classiche abilità speciali dotate di un tempo di cool-down più o meno lungo che permettono, per esempio, di incrementare la corazza e/o la salute delle due protagoniste, di renderle invulnerabili per alcuni secondi o di aumentare i danni inflitti per un breve periodo. A questo si somma infine la necessità di cooperare spesso per aprire porte, attivare interruttori o sbloccare serrature speciali che richiedono l’intervento di entrambe le gemelle.
A sorreggere tecnicamente Wolfenstein: Youngblood ci pensa la sesta versione del motore grafico id Tech, lo stesso utilizzato nel precedente capitolo della saga. In questa occasione il titolo raggiunge i 4K su Xbox One X e i 1080p su Xbox One e One S,, ponendosi come obiettivo i 60fps su tutte le piattaforme. Per ottenere questo risultato, l’engine sfrutta la risoluzione dinamica, regolabile direttamente dal menu di gioco, così da ridurre il numero dei pixel a schermo in favore della massima fluidità.
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