Recensione - Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii

Il Gioco
Sono passati sei mesi dagli eventi di Like a Dragon: Infinite Wealth. Goro Majima sta supervisionando la ricollocazione degli yakuza presenti a Nele Island dopo la sconfitta di Bryce e dell’organizzazione religiosa Palekana, ma un incidente distrugge la sua nave portandolo a naufragare per giorni, fino ad arrivare sulla spiaggia di Rich Island, dove viene risvegliato da un bambino di nome Noah. Qui Majima scopre di non ricordare nemmeno il suo nome, ma nonostante l’amnesia non ha dimenticato come si combatte, e si difende egregiamente contro un gruppo di uomini vestiti come pirati da film che lo attaccano. Noah spiega che quella che può sembrare una stranezza è invece la “normalità” da quelle parti a causa del Pirate’s Coliseum, un evento che si tiene nella vicina Madlandis. Si tratta di un’isola artificiale creata da un cimitero di navi e trasformata in un paradiso dell’illegalità, la cui attrazione principale sono i feroci combattimenti tra pirati che, a bordo di veri e propri galeoni e armati di sciabole e pistole antiche, si contendono ricchi premi offrendo uno spettacolo unico per il pubblico.
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Il rovescio della medaglia è che questi pirati non si limitano al Colosseo di Madlandis, ma scorrazzano anche nella zona e a farne le spese sono gli abitanti delle isole vicine proprio come Rich Island, dove vive Noah. Il bambino tra l’altro soffre di asma cronica e il padre Jason vuole tenerlo segregato sull’isola per paura di non poterlo aiutare se dovesse avere un attacco di tosse incontrollabile, ma il piccolo vuole comunque esplorare il mondo e chiede aiuto a Majima. Deciso (ma neanche troppo) a ritrovare la memoria, Majima non ci pensa due volte ad aiutare Noah, e dopo aver convinto, ovviamente a modo suo, anche il padre ad accompagnarli, ruba il galeone dei pirati che lo avevano aggredito e salpa verso Nele Island. Questo è solo l’incipit di una storia rocambolesca che vi terrà impegnati per circa 20 ore, ma come i fan della serie ben sapranno è praticamente impossibile non dedicarsi anche alle numerose attività secondarie che possono tranquillamente far sfiorare anche le 80/100 ore totali per i più completisti.
Pur trattandosi di uno spin-off, Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii non lesina quindi sui contenuti, alcuni “riciclati” dal precedente Infinite Wealth ma molti totalmente inediti. Il più evidente ovviamente è quello presente anche nel titolo, ovvero la componente piratesca. Non è un segreto che Assassin’s Creed IV: Black Flag, nel 2013, sia stato uno dei giochi che hanno alimentato la voglia di feroci battaglie navali tra pirati, e nel corso degli anni abbiamo avuto alcuni esponenti del genere con risultati sia positivi come Sea of Thieves, che non all’altezza delle aspettative come Skull & Bones. Onestamente mai mi sarei aspettato che anche Like a Dragon si unisse al gruppo dei giochi pirateschi, eppure eccoci qua. Sia chiaro, Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii non ha nessuna pretesa di diventare un nuovo caposaldo del genere ed è quanto di più lontano ci sia da una vera simulazione di battaglie navali, ma il risultato è comunque più che soddisfacente.

Fin dalle prime scorribande a bordo del nostro galeone Goromaru, il sistema di controllo rivela essere molto semplice ed intuitivo, per cui non aspettatevi una fisica realistica o chissà quale complessità nel maneggiare il timone: siamo di fronte ad un'esperienza puramente arcade ed all’interno del mondo di Like a Dragon, per cui non stupisce se la Goromaru può attivare il turbo o addirittura derapare in acqua senza tenere conto di correnti marine o direzione del vento. Stesso discorso anche per il sistema di combattimento, con la possibilità di usare delle mitragliatrici per attacchi frontali o affidarsi ai cannoni laterali utilizzabili con i rispettivi grilletti destro e sinistro del controller. Infine, oltre che pirati, siamo pur sempre degli yakuza, e se le armi di bordo non bastano si può sempre lasciare temporaneamente il timone e prendere un bel lanciarazzi con cui sistemare la questione in maniera più “moderna”. Proseguendo nel gioco si potranno sbloccare modifiche estetiche, potenziamenti e nuove armi per la Goromaru, lasciando libertà di scelta se mantenere una linea più sobria e “realistica” oppure darsi alla pazza gioia con personalizzazioni fuori di testa.
Oltre che per le battaglie navali, la Goromaru può naturalmente essere utilizzata per spostarsi da un luogo all’altro, e nonostante non siamo di fronte ad un open world (anzi, le aree esplorabili siano piuttosto ristrette) c’è comunque spazio per delle deviazioni per attraccare in qualche isola a caccia di tesori. Le isole opzionali altro non sono che i classici “dungeon” tipici della serie, con corridoi più o meno estesi dove fare a pezzi tutti i nemici fino ad arrivare all’inevitabile boss finale, ma si tratta comunque di intermezzi che spezzano la navigazione offrendo bottini utili per aumentare sia i soldi che la reputazione della ciurma. Restando in tema, nel corso del gioco si possono reclutare diversi personaggi (spesso soddisfacendo alcuni requisiti o completando incarichi per loro) da arruolare a bordo della Goromaru, ognuno dei quali può ricevere diversi incarichi e aumentare di livello per potenziarne statistiche e abilità. Alcuni offrono anche bonus esclusivi se posizionati in specifiche mansioni, aumentando di molto le possibilità di successo nel brutale Pirate’s Coliseum.

Per quanto si passi parecchio tempo in mare, in realtà buona parte dell’azione si svolge sempre a terra, e Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii continua la “nuova tradizione” della serie che relega il combattimento a turni solo ai capitoli principali, lasciando agli spin-off la componente action tipica dei vecchi capitoli. Non è la prima volta che vestiamo i panni di Majima, abbiamo già avuto modo di apprezzare il suo stile di combattimento veloce e imprevedibile in Yakuza 0, e in Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii Goro sfrutta buona parte di quel moveset con il suo stile Cane Pazzo. Grazie al suo fidato Demonfire Dagger, Majima può esibirsi in rapidi attacchi e persino lanciare in aria i nemici per finirli con delle combo aeree, oppure, una volta riempito l’apposito indicatore, evocare dei cloni d’ombra che lo aiutino a quando in inferiorità numerica. Vera novità del gioco è invece il secondo stile Lupo di Mare, con Majima che sfoggia il suo cappotto e cappello da pirata e, armato di due sciabole, può seminare il panico contro gruppi di nemici. Oltre alla possibilità di lanciare le sciabole e riprenderle come se fossero dei boomerang (di nuovo, non fatevi troppe domande su come sia possibile), grazie a questo stile Majima può usare anche una pistola per attacchi a distanza o un rampino con cui arpionare gli avversari e avvicinarsi rapidamente, oppure sfruttarlo per l’esplorazione per raggiungere luoghi sopraelevati. Tornano infine le Heat Actions tipiche della serie, e una volta accumulata abbastanza energia basta premere un tasto nelle giuste condizioni per scatenare degli spettacolari attacchi speciali tanto coreografici quanto violenti.
Majima può inoltre equipaggiare fino a 10 anelli (uno per ogni dito) in grado di offrire sia bonus alle statistiche che attivare particolari effetti attivi o passivi. Spendendo denaro e punti reputazione possiamo potenziare ulteriormente le statistiche o sbloccare nuove mosse e attacchi con cui rendere il nostro pirata preferito una macchina da guerra ancora più letale. Come accennato, buona parte dell’azione si svolge comunque a terra, e oltre alle già citate Rich Island, Madlandis e Nele Island torna anche Honolulu, la stessa città vista in Like a Dragon: Infinite Wealth. L’area è rimasta identica a come la conoscevamo, così come resta immutata la possibilità di esplorarla a bordo di un segway Street Surfer e dedicarsi ad attività secondarie come karaoke, Crazy Delivery e Dragon Kart, entrambi parodie rispettivamente di Crazy Taxi e Mario Kart.

Dal punto di vista tecnico Like a Dragon: Pirate Yakuza in Hawaii non brilla particolarmente, e nonostante la risoluzione in 4K si nota come lo sviluppo cross-gen abbia limitato parecchio la riuscita di molti modelli. Ottimi invece i 60 fps su Xbox Series X, che nonostante un gameplay frenetico e veloce e la presenza di parecchi effetti visivi a schermo non mostra mai segni di cedimento. Come da tradizione il doppiaggio è disponibile in inglese o giapponese (caldamente consigliato), mentre i testi sono in italiano.
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