Recensione - NBA 2K17
Il Gioco
Il successo della serie griffata 2K Sports è ormai diventato di dimensioni planetarie, e ogni anno il titolo cestistico per eccellenza riesce a superare sé stesso gettando il cuore oltre l’ostacolo. Anche laddove ci fosse una seppur minima mancanza, il tutto viene immediatamente colmato da tante e tali opzioni, nonché da momenti di pallacanestro davvero unici al mondo, da lanciare il titolo in questione nel firmamento dei capolavori videoludici. La serie 2K dedicata al pianeta NBA ha sempre messo al primo posto la celebrazione dell’atleta e l’immedesimazione del giocatore nell’atmosfera dei palazzetti NBA, e ogni appassionato di basket USA si è davvero sentito come Kevin Durant piuttosto che Stephen Curry al momento di effettuare un passaggio ovvero scoccare il tiro decisivo dalla distanza dei 3 punti. Per sgombrare subito il campo da ogni eventuale equivoco, diciamo subito che NBA 2K17 è tutto questo ma anche qualcosa in più: una carriera caratterizzata, se possibile, da ulteriore profondità e nuovi sistemi di controllo in fase offensiva e difensiva sono solo alcune delle perle inserite nel nuovo capitolo della serie NBA 2K.Partiamo proprio dalle modalità di gioco: sicuramente il fulcro del gioco è quello incentrato sulla carriera del nostro giocatore che, partendo dal college, tenta la scalata nel firmamento dell’NBA.“La mia Carriera”, questo il nome nell’accezione originale, si connota subito per la sua spettacolarità e per il passo indietro, rispetto alla scorsa edizione, rispetto al tocco cinematografico (ricordate il “patrocinio” di Spike Lee in NBA 2K16 ?). Ciò che potrebbe spiazzare i nuovi adepti, ma piacerà agli amanti della serie, è che la carriera è basata, ovviamente, sul guadagnare punti esperienza per il nostro alter ego virtuale che, però, deve passare anche attraverso l’obbligo di effettuare allenamenti in palestra piuttosto che presenziare ad eventi mondani, spesso senza possibilità di saltare le cut-scene.
MX Video - NBA 2K17
L’altra modalità maggiormente apprezzata dagli amanti della serie è quella denominata “Il mio GM”, che ci permette di indossare i panni del General Manager di una delle franchigie NBA e gestirne tutti gli aspetti, da quelli manageriali-finanziari a quelli più propriamente tecnici. In questa modalità quasi non esistono limiti alla personalizzazione della stagione, grazie alla grandissima mole di opzioni presenti. E’ persino possibile aumentare il numero delle squadre NBA a 36 permettendoci di costruire persino la nostra arena di gioco, rinominare la nostra franchigia ed aggiungere diverse altre possibilità di customizzazione tali da ampliare a dismisura la figura del GM. In questa modalità un ruolo di fondamentale importanza è coperto dalle dinamiche di trading, ossia il mercato dei giocatori che si caratterizza, in primis, per gli scambi tra franchigie in modo tale da rispettare il famigerato tetto salariale). I trasferimenti sono gestiti in maniera intelligente e sostanzialmente fedele a quanto potrebbe avvenire nella realtà: non è assolutamente facile strappare Le Bron ai Cavaliers, tanto per fare il più banale degli esempi. Nel momento in cui si decide di iniziare una nuova stagione in modalità Il mio GM non si è obbligati ad iniziare con la stagione corrente ma si può fare un passo indietro fino a prima dell’ultimo Draft ed invertirne anche l’ordine di sceltam, inserendo ad esempio un Brandon Ingram piuttosto che un Dragan Bender come le nuove prime scelte. A questo punto, nel momento in cui inizia la nuova stagione NBA, si può anche decidere di iniziare la modalità alla data in cui si trova realmente la stagione NBA. Se, ad esempio, scegliete di gestire gli Atlanta Hawks partendo dalla metà di novembre e le aquile hanno già un record di 10-0, comincerete il vostro GM con un analogo record positivo.
Non poteva mancare poi la modalità “La mia Squadra”, realizzata sulla falsariga dell'Ultimate Team dei titoli EA Sports. Anche qui le novità non sono poche, a partire da un online solido sin dall’uscita del gioco e con lag prossimo allo zero. La cosa che colpisce di più è data dalla rivisitazione dei valori assegnati ai giocatori allo scopo di evitare la presenza di avversari umani con valori medi di squadra prossimi a 100. Anche i giocatori più forti, come Curry e Le Bron, partono da un overall di 85 (e non superiore a 90 come nell’edizione 2K16) e, solo trovando le opportune carte di potenziamento, si possono raggiungere punteggi giocatore più elevati. Anche in modalità La mia Squadra è possibile ottenere un “bonus” trovando delle accoppiate di giocatori in grado di completarsi a vicenda. Troviamo ancora le Sfide veloci che ci permettono di accumulare denaro relativamente facile e le Divisioni nelle quali il valore dei premi è in funzione della tipologia di sfide vinte.
Veniamo ora al comparto online, che negli episodi precedenti ha spesso sofferto durante le prime settimane. Quest’anno il netcode sembra reggere bene l’urto ed appare sostanzialmente stabile; ho giocate molte partite online non riscontrando problematiche particolari di latenza. Volendo fare i pignoli, la modalità Il mio Parco (dedicata allo street basket) sembra soffrire di un lieve lag nelle partite online, ma si tratta di piccole imperfezioni (che verranno, verosimilmente, corrette al più presto) che non vanno ad intaccare l’esperienza di gioco. Buone nuove anche dal fronte “La mia Lega”, arricchita e portata ai livelli di quanto osservato in Madden NFL e nella simulazione di baseball della Sony, MLB The Show; in NBA 2K17, però, non è possibile interrompere volontariamente la partita.
Dopo aver discusso di modalità ed opzioni, è ora di scendere sul parquet di gioco ed esaminare il gameplay di NBA 2K17. Come ben sanno tutti gli appassionati di basket, ricreare l’idea di spazio e di adrenalina risulta essere di importanza fondamentale in un videogioco dedicato al pianeta NBA. In NBA 2K17 tutto questo è reso in maniera quasi maniacale e le nuove features in tema di gioco offensivo e difensivo giocano un ruolo fondamentale. Nuove dinamiche di tiro, passaggi ancora più realistici e difese più ruvide ci fanno comprendere come, in NBA 2K17, il termine “simulazione” sia stato portato a livelli prossimi alla perfezione. Non mancano, tuttavia, alcuni piccoli rilievi da fare proprio a proposito dei passaggi; in particolar modo si assiste talvolta a dei passaggi dalle traiettorie alquanto bizzarre che impediscono che ottime trame di gioco si tramutino in canestri. Allo stesso tempo, però, i passaggi sono stati ulteriormente migliorati con la possibilità di eseguire, dopo adeguata pratica, delle combo devastanti come, ad esempio, il doppio cambio di mano di Kyrie Irving.
Venendo al gioco d’attacco, è stata ritoccata la meccanica di tiro e, quando compare un anello completamente verde a contraddistinguere il giocatore che lo ha appena scoccato, vuol dire che si è raggiunto il massimo della precisione per quel giocatore con ottime probabilità di fare centro, al contrario di quanto accadeva nelle edizioni precedenti dove ottenere l’anello verde intorno al tiratore non voleva dire avere la certezza di fare canestro. Ma tutto questo ha comunque un prezzo, e la valuta è il tempismo con il quale si carica e poi si rilascia il tasto di tiro; se poi si decide di utilizzare lo stick analogico, le cose possono ulteriormente complicarsi in quanto il movimento della levetta, influenzando la parabola di tiro, va a ridurre ulteriormente il margine d’errore. Per quanto concerne la difesa i ragazzi di Visual Concepts hanno apportato delle modifiche strutturali che, pur non stravolgendo quanto visto in passato, hanno aggiunto un ulteriore tocco di realismo. E’ il caso, ad esempio, della possibilità di rubare il pallone all’avversario in palleggio: sembra che non si tratti più di un qualcosa affidato al caso: si sente come sia più facile rubare il pallone se il giocatore sta palleggiando con la mano debole ovvero se il nostro avversario sta assumendo una posizione scorretta in campo.
Rimane interessante la presentazione della partita affidata allo studio centrale di 2K Sports (con Greg Anthony e Kevin Harlan) e, soprattutto il commento da bordo campo affidato, con una rotazione puntuale, a Chris Webber, Clark Kellogg, Doris Burke, Brent Barry, and Steve Smith. Ottima peraltro la traduzione completa in italiano di menu e sottotitoli del gioco, mentre il parlato rimane in inglese. Per quanto concerne gli effetti sonori in-game, nulla o quasi da eccepire sugli effetti da stadio presenti all’interno delle diverse arene ma ciò che non sempre funziona alla grande è la reazione del pubblico nei confronti dell’andamento della partita.
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