Recensione - Kingdom Come: Deliverance II

Il Gioco
A differenza del primo titolo, Kingdom Come: Deliverance II sceglie di iniziare letteralmente “col botto”, proiettandoci nel bel mezzo di una sanguinosa e spettacolare battaglia, l’assalto al castello di Suchdol da parte delle truppe di Re Sigismondo d’Ungheria. Dopo una lunga sequenza cinematica, ci troviamo ad impersonare il prete-soldato Godwin (una vecchia conoscenza) nella difesa delle mura del castello, per quello che in sostanza funge da tutorial per movimenti e fasi di combattimento. Appare nella sequenza anche Sir Hans Capon, altro volto ben noto a chi ha giocato al primo Kingdom Come (per chi non lo avesse fatto, è consigliabile uno sguardo al video di riassunto pubblicato nel canale YouTube del gioco): ed è proprio a partire dai pensieri del giovane nobile che prende il via un flash-back che incorpora una parte consistente del gioco. L’azione si sposta indietro di “qualche settimana” e ci presenta un manipolo di cavalieri diretti a Trosky, con l’intento di consegnare un’importante lettera diplomatica al signore locale, Otto von Bergow. A condurre il gruppo è appunto il nobile Hans Capon di Rattay e al suo fianco, quale guardia personale, ci siamo noi, nei panni di Henry, il nostro alter-ego del primo gioco. I due titoli sono infatti direttamente collegati, con questo sequel che riprende la narrazione da dove il primo l’aveva interrotta: i luoghi e le circostanze sono le stesse (la Boemia di inizio XV secolo, lacerata dalla guerra civile tra i lealisti di Re Venceslao e i sostenitori di Re Sigismondo d’Ungheria), così come buona parte dei personaggi che compongono il “cast” del gioco, a cominciare appunto da Henry, che anche questa volta siamo chiamati ad impersonare.
MX Video - Kingdom Come: Deliverance II
Ma torniamo ai nostri protagonisti. Evitiamo di svelare per quanto possibile come e cosa avvenga in queste prime fasi, ma dobbiamo dirvi che la spedizione non va a buon fine, con Henry ed Hans che si ritrovano privati di tutta la loro dotazione, compresa la lettera oggetto della loro missione. Non avendo più nulla a comprovare la loro identità, i due vengono considerati mendicanti ed impostori, finendo per cacciarsi in ulteriori guai e messi alla gogna. Da qui parte la nostra avventura, per recuperare lo status perduto e provare a salvare il salvabile della missione affidataci.
Il gioco inizia quindi lasciandoci – letteralmente - in mutande e privi di qualunque conoscenza nella regione straniera in cui ci troviamo, dando così un senso al meccanismo di crescita/arricchimento del nostro personaggio, che ci accopagnerà fino alla fine. Comunque, Henry non è più l’ingenuo ragazzotto conosciuto all’inizio del primo Kingdom Come, privo di qualunque abilità ed esperienza: pur privato di danari, vestiti ed armi, ha comunque capacità che gli derivano dalle esperienze già vissute (e alcune particolarmente spiccate, in base alle scelte fatte negli appositi dialoghi nella prima scena giocata), potremo ad esempio fin da subito leggere i libri di cui verremo in possesso, senza dover prima imparare a leggere, così come potremo tirare decentemente di spada non appena recuperata un’arma, senza bisogno di sottoporci a lezioni di maestri e precettori vari.
Questo naturalmente non significa che non ci sia spazio per crescere e migliorare! Al contrario, Henry deve necessariamente diventare una versione migliore di sé stesso per venire a capo delle avventure che lo attendono ed è compito di noi giocatori decidere in dettaglio il suo percorso di crescita. Il sistema di progresso (ripreso dal primo episodio) è abbastanza particolare e rispecchia l’approccio da GdR puro del gioco: non c’è un albero di abilità da sbloccare a discrezione attingendo da generici punti esperienza, bensì in Kingdom Come: Deliverance II si progredisce in ogni categoria di abilità soltanto attraverso un effettivo impegno nella categoria in questione. Ad esempio, Henry non potrà progredire nell’uso delle armi a lungo raggio, se non attraverso il loro utilizzo, così come non potrà acquisire nuove doti di alchimista senza investire tempo e lavoro nella preparazione di pozioni. Al raggiungimento di un nuovo livello in uno degli attributi principali (Forza, Agilità, Vitalità, Dialogo), così come nelle singole abilità (Alchimia, Furtività, Sopravvivenza, ecc…) e nelle specifiche tecniche di combattimento (ad esempio Corpo a corpo, Tiro, o Spade) è associato lo sblocco di uno o più bonus e perk particolari, identificati come Talenti, da attivare investendo uno dei “Punti Talento” a nostra disposizione. Il sistema dei Talenti è estremamente articolato (ce ne sono 276 in tutto) e complesso, anche perché i Talenti possono avere effetti sinergici tra di loro, o al contrario essere addirittura mutualmente esclusivi.

Nonostante questo meccanismo possa lasciare sulle prime un po’ disorientati, essendo decisamente meno guidato di altri, è molto potente e consente di plasmare un Henry davvero su misura per le nostre intenzioni ed il nostro stile di gioco. Da questo punto di vista, Kingdom Come: Deliverance II fa un lavoro egregio, migliore rispetto al primo episodio, nel dare una possibilità di successo effettiva e non solo teorica a build di tipo diverso. C’è davvero spazio per procedere nel gioco impersonando un Henry molto lontano dal tipico soldato medievale, per quanto sviluppare un livello almeno passabile di prestanza fisica e di capacità nel maneggiare un’arma non sia mai una cattiva idea: l’occasione per menare le mani capita obbligatoriamente, o quasi.
A questo proposito, diciamo subito che il sistema di combattimento di Kingdom Come: Deliverance II rappresenta una versione riveduta e corretta, ma non stravolta, di quello, abbastanza controverso, già adottato nel gioco precedente. Va considerato che una certa farraginosità dei combattimenti è assolutamente voluta, in nome del realismo che permea tutto il progetto: i movimenti di chi scende in battaglia bardato con una cotta di maglia di ferro e brandendo una spada lunga un metro e mezzo sono per forza di cose lenti e relativamente impacciati, così come è assolutamente realistico trovarsi affaticati dopo ben pochi fendenti, a meno di non poter contare su una particolare prestanza fisica. In definitiva, è un sistema che nel complesso convince, ma che ancora non riesce ad entusiasmarmi. Sicuramente è migliorato (temo a discapito del realismo) il fattore visibilità: pur con le limitazioni di una visuale in prima persona dall’angolo di visuale non particolamente ampio, in questo sequel si ha una visione del campo di battaglia più libera e chiara.
Il combattimento a mani nude o all’arma bianca continua a basarsi sui meccanismi di parata/risposta e di concatenazione dei colpi e non è stato modificato più di tanto: si avverte una migliore fluidità e responsività (ma questo vale per tutto il gioco, non solo per i combattimenti), si potrebbe forse chiedere qualcosa di meglio in termini di resa della fisicità dello scontro e di accuratezza delle hitbox, ma in definitiva il vero “problema” di questo sistema di combattimento è che richiede obbligatoriamente un certo studio e tanta, tanta pratica! Kingdom Come: Deliverance II propone anche un rinnovato parco di armi a lungo raggio, con arco, balestra e addirittura una rudimentale arma da fuoco, ma devo confessare di non averne fatto ampio uso, trovandole poco pratiche (anche se in certe missioni furtive, dove c’è tutto il tempo per caricare e prendere la mira, un arco o una balestra possono consentire uccisioni silenziose, risolvendovi parecchi grattacapi). Vale però quanto spiegato poco sopra: dedicandosi all’uso di queste armi si possono sbloccare Talenti specifici che ne rendono più facile ed efficace l’utilizzo: insomma, c’è sicuramente possibilità di arrivare a plasmare un Henry arciere provetto e letale!

Molto del merito della grande libertà di cui godiamo nel personalizzare la nostra build risiede nel modo in cui sono disegnate le quest. La linea narrativa principale di Kingdom Come: Deliverance II è quella che scandisce il passaggio verso nuove aree e che più mette in relazione Henry con la Grande Storia, quella del conflitto tra Venceslao e Sigismondo, nonché con gli arci-rivali già affrontati nel primo titolo: Istvan Toth e il suo spietato “mastino” Markvart von Aulitz. Spesso e volentieri quest’arco narrativo viene però quasi messo in secondo piano dalla stupefacente quantità e varietà delle quest secondarie a cui ci si può dedicare. Impegnarsi in queste attività è praticamente una necessità nelle prime fasi di gioco, bisognosi come siamo di racimolare vestiti, armi, cibo… letteralmente qualunque cosa, ma diventa poi una piacevolissima abitudine, per la loro profondità e capacità di sorprendere. Quasi mai si tratta di banali fetch-quest o altri incarichi di poco conto: ogni secondaria di Kingdom Come: Deliverance II ha assai poco di “secondario”, per così dire, articolandosi spesso in numerosi snodi narrativi ed essendo aperta sia a finali multipli che a diverse modalità di completamento. In queste circostanze la componente ruolistica trova spazio per brillare come non mai, il fatto stesso di decidere se intraprendere o meno una certa quest, la scelta di come svolgerla ed eventualmente di come influenzarne l’esito finale sono tutti elementi che vanno a definire nel complesso chi è il nostro Henry, la sua collocazione nel mondo e la sua reputazione. Ho convinto un certo personaggio a prendere una determinata decisione, concludendo così con successo una quest, ma ci sono riuscito soltanto rivelandogli che un’altra persona era in attesa di un figlio, mentre le avevo giurato di non farne parola con nessuno… ci saranno conseguenze per questo “tradimento”? Ho assicurato alla giustizia un assassino, ma convinto dalle sue giustificazioni, ho scelto di chiedere per lui clemenza al Balivo del villaggio... il colpevole me ne sarà riconoscente? Il Balivo penserà che mi sono rammollito e perderò reputazione ai suoi occhi? Scelte del genere sono frequentissime e rappresentano altrettante occasioni per veramente “giocare di ruolo”, compiendo scelte coerenti con l’Henry che abbiamo deciso di voler essere: opportunista oppure caritatevole, scrupoloso o superficiale, sfacciato oppure diplomatico. Il sistema a scelta multipla usato per gestire l’andamento dei dialoghi (analogo a quanto già visto nel precedente episodio) subordina la buona riuscita della risposta prescelta non solo al livello della caratteristica su cui abbiamo deciso di far leva, ma anche al contesto e alle caratteristiche della controparte: sarà difficile puntare su fascino e carisma se siamo sporchi e vestiti di stracci, così come “convincere” con minacce sarà abbastanza facile se abbiamo a che fare con una contadina inerme e meno garantito se abbiamo invece di fronte un furfante matricolato. Naturalmente il sistema dei Talenti mette il suo zampino anche in quest’ambito: decidendo di investire punti per rendere Henry più eloquente e persuasivo avremo vita decisamente più facile rispetto ai giocatori che invece scelgono di sviluppare un Henry poco o per nulla avvezzo al dialogo.
Com’è facile intuire, queste continue situazioni decisionali, con esiti più o meno favorevoli, generano non solo frequenti momenti di dubbio, ma anche una forte curiosità nell’immaginarsi come sarebbero andate le cose agendo in modo diverso. Anche per questo secondo gioco, Warhorse ha mantenuto la scelta di limitare la possibilità di creare e sfruttare salvataggi manuali, richiedendo il consumo della famigerata Grappa del Salvatore al fine di creare un punto di salvataggio a propria discrezione. Si tratta di una pozione relativamente rara (e mediamente complessa da creare), per cui di norma un giocatore se ne trova in inventario giusto una manciata: vanno quindi consumate con giudizio (ma senza nemmeno lesinare, un imprevisto fatale può trovarsi letteralmente dietro ogni angolo!), senza poter “abusare” dei salvataggi per crearsi una moltitudine di punti di ripartenza in corrispondenza di ogni scelta o bivio narrativo. Quando non ci si trova nel bel mezzo di un dubbio amletico, le cose si fanno decisamente più semplici: possiamo far scattare un punto di salvataggio recandoci a dormire presso una delle nostre stanze (alcune si possono acquistare, altre ci verranno concesse durante lo sviluppo della vicenda), oppure semplicemente uscendo dal gioco: in quest’ultimo caso però il salvataggio è pensato unicamente per consentire di riprendere a giocare in un secondo momento e verrà sovrascritto dal “salva & esci” successivo. Il gioco si attiva anche per creare automaticamente dei salvataggi in corrispondenza del raggiungimento di determinati punti nello svolgimento delle quest, ma nella mia esperienza questo meccanismo ha avuto comportamenti poco affidabili (ne parliamo nella sezione “Odio”).

Pur avendo a disposizione una trama principale appassionante ed un numero davvero notevole di avventure secondarie, molte delle quali peraltro legate a incontri casuali o comunque non particolarmente evidenziate dal gioco, una sessione su Kingdom Come: Deliverance II può benissimo scorrere via senza far registrare alcun progresso sotto questi aspetti, semplicemente perché ci si è limitati a vivere all’interno di questo “simulatore di vita medievale”. Anzi, agli inizi si tratta quasi d’una necessità, dato che come detto il povero Henry si trova a dover ripartire praticamente da zero: che scegliate di dedicarvi all’azzardo col gioco dei dadi, di rubacchiare qua e là qualche Groschen facendo esperienza nelle “arti” del borseggio e del grimaldello, o di guadagnarvi onestamente qualcosa lavorando come erboristi o fabbri (oppure ovviamente un mix di queste e altre attività) le vostre prime giornate nei dintorni del castello di Trosky vi vedranno probabilmente indaffarati in questo e quel lavoretto. Sotto questo aspetto va segnalato il grande impegno profuso nel realizzare i minigiochi che consentono di cimentarsi nei panni di un fabbro (una novità di questo sequel) e di un alchimista. Sono attività che non solo fanno apprezzare l’attenzione riposta nel curare ogni dettaglio, come ad esempio le miniature che illustrano il libro delle pozioni, ma che sanno essere anche gratificanti nel loro gameplay loop: essere in grado di produrre armi/pozioni sempre più pregiate, rivenderle, investire il ricavato in nuove schemi/ricette per poterne realizzare altre di valore ulteriormente aumentato è un ottimo modo per godere in tempi brevi di progressi tangibili, specie nella prima parte di gioco, in cui la storia principale è un po’ lenta nel mettersi veramente a “carburare”.
Ci sarebbero molti altri sistemi di gioco da descrivere, dal concetto di Reputazione (tracciata separatamente per ogni zona/villaggio, influenza sia le vostre scelte di dialogo sia il vostro margine di contrattazione quando avete a che fare con i mercanti) al sistema delle Tenute, gradita novità introdotta da questo sequel, che vi consente di tenere pronti all’uso tre diversi completi adatti alle diverse circostanze (mi raccomando, non avventuratevi in una missione furtiva con indosso la vostra armatura di ferro, vi serve una leggera calzamaglia nera da brigante), ma credo che per “spiegare” questo gioco basti evidenziare un concetto di fondo: Kingdom Come: Deliverance II fa il possibile per sottrarre poco o nulla al controllo del giocatore e alla sua discrezionalità. E’ necessario badare costantemente a se stessi (dormire, mangiare, curarsi se feriti, smaltire la sbornia se ubriachi, eccetera), non dare mai nulla per scontato (sentite questa: dopo essermi appartato con una leggiadra donzella in un solaio, me ne sono uscito dalla casa baldanzoso e soddisfatto, salvo creare immediato scandalo tra i passanti… in occasione dell’incontro amoroso il gioco aveva giustamente fatto togliere ad Henry tutti i suoi abiti ed io non avevo minimamente pensato che sarebbe stato necessario rivestirsi!) e tenere presente che ci si muove in un mondo costantemente consapevole dei nostri comportamenti, spesso in maniera sorprendente: mi è capitato di premere per sbaglio la levetta direzionale facendo inginocchiare Henry sulla pubblica via e una guardia da dieci metri di distanza mi ha prontamente apostrofato “ehi, hai perso qualche cosa?”.
Questo approccio simulativo comporta che la mole di informazioni da gestire da parte di chi gioca sia oggettivamente imponente. Quanto è lacero il mantello che ho trovato? I miei stivali sono abbastanza puliti? Per quanti minuti ancora dureranno gli effetti della pozione che ho bevuto? Com’e la mia reputazione in questa fattoria in cui sto entrando? Quali Talenti posso sbloccare nella categoria Furtività? Tra quanto tempo sorgerà il sole? I parametri che vanno tenuti d’occhio e valutati sono davvero moltissimi! L’interfaccia che ci permette di gestirli risulta utile e ben strutturata, nonché molto riuscita sul piano estetico. Rispetto alla struttura “a schermate” del primo gioco, questa volta Warhorse ha realizzato un’unico piano su cui si trovano mappa di gioco (fondamentale anche per gestire gli spostamenti in modalità “viaggio veloce”), diario delle quest, inventario e caratteristiche del personaggio e lungo il quale si scorre con le levette analogiche del pad. L’esperienza è tutto sommato funzionale, non faticosa, anche se rimane comunque la sensazione di un’interfaccia nata su PC e che avendo un mouse a disposizione il tutto risulterebbe più pratico.
Che siate impegnati in una quest principale, in una secondaria, o a godervi la sandbox del gioco raccogliendo foglie di Calendula per le vostre pozioni e contrattando sul prezzo della birra in una taverna di Kuttenberg, una cosa è certa: impossibile giocare a Kingdom Come: Deliverance II senza rimanere stregati dal fascino delle ambientazioni e dalla sensazione di “esserci” che questo gioco riesce a regalare. Un risultato notevole, frutto di un ottimo lavoro sia sul piano tecnologico (quale migliore vetrina per mostrare al mondo le capacità del CryEngine, come credibilissimo concorrente di UnrealEngine?) che in quello creativo. Sotto il primo aspetto, il gioco risulta molto più fluido rispetto al suo predecessore, con un engine si comporta egregiamente specie nella distanza gestita (provate ad esempio a salire in cima alle torri del castello di Trosky e a godervi il panorama a 360°...). Sotto il secondo aspetto ho particolarmente apprezzato la scelta di adottare una palette di colori naturale, non particolarmente contrastata o saturata: le scene non sono magari immancabilmente “da cartolina”, ma risultano molto più credibili... è giusto che di norma un prato sembri un prato, e non necessariamente uno sfondo di Windows XP!

Per quanto riguarda il livello di dettaglio di texture ed asset grafici in generale, Kingdom Come: Deliverance II non spicca particolarmente, ma rappresenta un buon passo in avanti rispetto al predecessore e, tenendo conto della vastità del gioco, va sicuramente promosso anche sotto questo aspetto. L’unico punto su cui personalmente mi sono trovato un po’ a recriminare è la caratterizzazione degli npc, cioè dei personaggi di contorno gestiti dal gioco. Si nota un riutilizzo sistematico del medesimo tipo corporeo: non trovate in Kingdom Come: Deliverance II spilungoni di magrezza estrema o mercanti dalle pance prominenti, donne più o meno formose... sembra esistere un unico modello calibrato sulle proporzioni giudicate canoniche del corpo umano e tanto basti, tutti i personaggi sono fatti in questo modo. Anche le animazioni facciali di parecchi npc a volte lasciano un po’ a desiderare, ma va riconosciuto che non è questo il gioco, con decine di personaggi ed una quantità sterminata di linee di dialogo (a proposito, nulla da ridire sulla bontà della localizzazione in italiano dei testi), da cui esigere un sistematico fotorealismo! La grande maggioranza del mio tempo sul gioco l’ho speso su Series X in modalità Fedeltà, che propone il più alto livello di dettaglio rimanendo però ancorata ai 30fps. E’ possibile optare invece per la modalità Prestazioni, che aumenta la frequenza ai 60 frame per secondo, riducendo la risoluzione a 1080p. Su Series S la modalità grafica invece è fissata a 30 fps, sempre alla risoluzione di 1080p.
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