Recensione - Life is Strange: True Colors
Il Gioco
Quando abbiamo a che fare con una serie di successo, non è sempre facile dare fiducia a degli autori completamente nuovi visto che il rischio di una produzione non all'altezza di quelle passate è sempre alto. La serie Life is Strange si è imposta nelle community di videogiocatori per una spiccata narrativa, capace di esplorare i meandri più profondi delle personalità di chi li gioca e mettendo in risalto un taglio in stile Serie TV, utile a invogliare il giocatore nel proseguire attraverso dei cliffhanger ben orchestrati. Il primo Life is Strange è un piccolo capolavoro, c’è poco da discutere: la storia è interessante, i personaggi scritti benissimo ed è tutto concentrato per offrire un mix di emozioni uniche. Il successo è arrivato, e Square Enix non poteva rimanere con le mani in mano, così chiese a Deck Nine un piccolo spin-off basato sulla storia di Chloe Price, prequel del primo Life is Strange. Il risultato è stato piacevole, un buon gioco che ha saputo presentare bene alcuni dei personaggi visti nel capitolo precedente e ha anche mostrato chi era Rachel Amber, con una scrittura davvero interessante di un personaggio di cui si parla solamente. Nessun passo falso, ma tutti aspettavano il ritorno degli autori originali per l’incredibile successo del primo capitolo. Purtroppo però Life is Strange 2, seppur valido, non ha saputo replicare appieno il successo e le sensazioni del primo titolo, perdendo soprattutto quel senso di empatia con i protagonisti che invece il primo titolo della serie era riuscito a creare. Deck Nine, nel frattempo, è stata a guardare, ma il desiderio di mostrare il proprio picco creativo era alto, e Square Enix ha voluto dare una possibilità a questi ragazzi: è così nato Life is Strange: True Colors.
MX Video - Life is Strange: True Colors
Non è sempre facile riuscire a scrivere di un titolo che punta tutto sulla narrativa, anche perché si dovrebbe fare riferimento ad alcuni spoiler per spiegare ciò che è valido e ciò che è meno valido all’interno del videogioco. La storia di Alex Chen non è così originale, anzi: si tratta di una ragazza che fin da bambina ha vissuto in orfanotrofio, cambiando famiglie e luoghi per trovare il suo posto nel mondo, ma senza risultati. Un giorno però le arriva un messaggio da parte di suo fratello Gabe, anch’egli con un passato difficile alle spalle ma che, rispetto alla sorella, ha avuto maggiore fortuna: ora vive ad Haven Springs, una cittadina piccola dove tutti conoscono tutti e si vogliono bene, ha un lavoro nel miglior pub della zona, è amato da tutti e convive con una ragazza e suo figlio. Gabe riesce a rintracciare Alex e la invita a trasferirsi ad Haven Springs, e dopo un piccolo colloquio con la psicologa dell’orfanotrofio, Alex prende tutta la sua roba e parte. L’incipit, come dicevo, non è originalissimo: Gabe è il classico fratellone sempre sorridente, con entusiasmo a mille, amato da tutti, mentre Alex è quel tipo di ragazza che suona la chitarra, ascolta musica indie-rock, veste in modo molto casual e vive attraverso i suoi pensieri. Anche gli abitanti di Haven Springs sono piuttosto ordinari, tutti amichevoli, super gentili e che si aiutano l’un l’altro. Sotto questo aspetto il realismo di Life is Strange: True Colors tende un po’ a calare, perché pare si cerchi sempre di voler portare il giocatore in un mondo “perfetto” ma che perfetto non è, dove poi bisogna scoprire tutta la verità delle realtà nascoste.
La differenza, però, la fanno stavolta i poteri di Alex: se con Max avevamo il potere di riavvolgere il tempo e con Daniel Diaz la telecinesi e altre particolari abilità legate alla gravità, in Life is Strange: True Colors Alex può sentire le emozioni. Diciamo, in termini molto semplicistici, che Alex ha una super-empatia, così forte da darle anche diversi grattacapi. Dalle prime battute si capisce che Alex non riesce a gestire e controllare le emozioni altrui, anzi, ne è spesso vittima. Se una persona tende ad arrabbiarsi ed essere violenta, Alex assorbe tutta l’ira e si trasforma anch’essa in un mostro violento, e lo stesso vale per la paura, la tristezza e tutte le altre possibili emozioni che alla ragazza può capitare di "captare". Alex si trova fin da subito a combattere questo suo potere e cercare di non farlo uscire fuori per non cedere ad avere comportamenti che non la rappresentano. Un evento drammatico in particolare, però, la convince a provare a gestire questa abilità per aiutare le persone e cercare di migliorarne l’umore o la situazione: non è facile per lei, perché vive in prima persona quelle emozioni, ma ha il vantaggio di poter arrivare più vicina alla risposta che si cerca. In alcuni casi, infatti, è possibile rivivere dei particolari momenti, che siano traumi o meno, in cui la realtà intorno ad Alex si distorce quasi come se lei stesse rivivendo i ricordi degli altri, e questo le dà un forte aiuto nello scoprire cosa ha causato quel determinato momento e magari cosa fare per risolverlo. Tutto questo, inoltre, ci aiuta a scoprire la verità dietro la drammatica vicenda che accadrà nelle prime ore di gioco.
Per quanto concerne il gameplay, Life is Strange: True Colors non stravolge la formula tradizionale della serie: il nostro compito è sempre quello di esplorare le diverse aree che man man fanno da sfondo alle varie parti di storia, con la possibilità di leggere descrizioni e ascoltare i pensieri di Alex, parlare con le persone e proseguire la narrativa attraverso le scelte compiute durante tutto l’arco narrativo, che faranno evolvere la trama in diverse ramificazioni. Le novità sono poche o comunque assenti su questo aspetto, tranne per alcune zone esplorabili più grandi in cui ci si può muovere più liberamente, tanto da tornare e ritornare a seconda di ciò che dovremmo fare. Questo mostra una libertà d'approccio leggermente maggiore, ma è pur sempre relativa: ricordiamo che Life is Strange: True Colors vuole essere un titolo dal forte impatto narrativo ed emozionale, il suo obiettivo non è quello di “divertire” tanto in termini di gameplay. Per quanto riguarda le scelte, queste sono per lo più utili a ramificare alcune direzioni che possiamo intraprendere, ma non portano comunque a grandi stravolgimenti della trama quanto più a piccole variazioni nelle situazioni e nei dialoghi, a qualche variazione di rapporto con i personaggi, ma nulla che vada a deviare radicalmente il corso della storia. La storia, comunque, ci tiene impegnati per circa 10-12 ore, suddivisa in cinque capitoli di 2-3 ore ciascuno. Ovviamente questa durata dipende anche dal giocatore, quanto vorrà esplorare, leggere e godersi i particolari "momenti zen", quelli in cui Alex si siede in un punto, inizia a parlare con sé stessa e durante i quali possiamo goderci una bella canzone.
La vera novità per la serie è invece l'adozione del motion capture e face capture per l'animazione dei personaggi e delle loro espressioni facciali, e la differenza è notevole: Alex gioca tantissimo con le proprie movenze ed espressioni, ma non è l’unica perché tutti gli abitanti di Haven Springs riescono a mostrare con efficacia le proprie emozioni anche stando in silenzio e questo rappresenta, a mio parere, il più grande salto di qualità della serie. Il comparto tecnico, con questa aggiunta, risulta essere il migliore di tutti i titoli usciti finora, non solo in termini di motion capture ma anche in quelli puramente estetici, con una miglior resa grafica e texture più pulite e definite. Dal punto di vista del frame-rate invece il gioco rimane fisso a 30 fps indipendentemente dall'hardware: gli sviluppatori hanno spiegato che si tratta di una scelta artistica volta a mantenere la "fedeltà cinematografica" dell'esperienza. Ottima la colonna sonora, anche se non ci saremmo aspettati di meno da questa serie: le canzoni sono tutte molto varie e belle, contribuendo ad immergerci nella cittadina di Haven Springs con pezzi acustici e voci particolari. La localizzazione, come da tradizione della serie, presenta testi e sottotitoli in italiano con il doppiaggio che rimane in lingua originale.
Commenti