Recensione - Unknown Fate
di
Győző Baki / Baboy
P
Il Gioco
Unknown Fate è l'opera di debutto del piccolo team italiano (composto da due fratelli) MarsLit Games, che ci propongono un'avventura in prima persona pensata sia per le piattaforme VR che quelle classiche, puntando così tutto sull'immersione ma anche su una certa cripticità dei contenuti. Nel gioco impersoniamo infatti un ragazzo che si ritrova all'interno di un mondo surreale, senza alcun ricordo del proprio passato e della propria identità. Ben presto noteremo però che questo universo è legato al misterioso passato del protagonista, visto che continuano a saltare fuori rappresentazioni astratte di ricordi passati, traumi infantili, passioni ormai perdute e incontri importanti. Il gioco ci porta quindi a scoprire delle bizzarre costruzioni in mezzo al nulla, tra piattaforme volanti, strane creature che deformano il mondo circostante e persino la possibilità di manipolare le regole di questo universo.Tutto questo avviene con un gameplay ispirato alle avventure in prima persona tanto apprezzate in questi anni, spesso chiamate anche "walking simulator" vista la loro relativa semplicità nella giocabilità. Esploriamo il mondo, interagiamo con alcuni oggetti e risolviamo piccoli enigmi per aprire nuovi passaggi, ma l'importante di Unknown Fate non è il gameplay quanto il viaggio di scoperta di un mondo misterioso, con una narrativa prevalentemente lineare. Troviamo comunque delle differenze rispetto a titoli come What Remains of Edith Finch o Gone Home: in primis c'è anche una notevole componente di platforming in prima persona, che ci vede spesso saltare da una struttura all'altra, anche in movimento. Purtroppo la realizzazione tecnica non eccelsa rende queste parti un po' più frustranti di quanto dovrebbero essere, ma la difficoltà rimane comunque piuttosto bassa, anche se in caso di fallimento si torna all'ultimo checkpoint che in molti casi potrebbe essere abbastanza lontano dal punto di caduta.
MX Video - Unknown Fate
Un'altra variazione sui classici del genere è la possibilità di usare un misterioso artefatto, che si presenta sotto forma di un diamante bianco luminoso. Questo è lo strumento che permette al protagonista di manipolare la realtà usandone le diverse abilità. Può infatti essere usato per interagire con oggetti specifici che così si spostano o si azionano; funge anche da gravity gun stile Half-Life 2 per spostare altri elementi; infine, può addirittura rallentare il tempo in una piccola area, funzione fondamentale per la risoluzione di alcuni enigmi o nel completamento di alcune sezioni platform un po' più impegnative. Troviamo persino delle sezioni di combattimento contro strani mostri, ma la loro presenza è più narrativa che altro, con un gameplay infatti molto semplice e ripetitivo. Più classiche invece risultano le sezioni flashback, che portano il protagonista a rivivere una versione stilizzata in bianco e nero e inquietante di eventi passati.
A proposito di trama, il titolo rimane volutamente misterioso dall'inizio alla fine, senza offrire spiegazioni chiare su cosa stia accadendo e perché, lasciando così molto spazio all'interpretazione. Le ambientazioni sono popolate da personaggi umanoidi che rivelano in maniera piuttosto criptica elementi importanti per avere spiegazioni sul tipo di mondo che ci circonda, il tutto attraverso dialoghi lineari e cut-scene vissute anch'esse in prima persona. Troviamo addirittura una sequenza boss, ma come la maggior parte del gioco anche qui si tratta più di risolvere un enigma in movimento che un vero e proprio combattimento. Arrivare a questa fase finale richiede circa 3-4 ore del vostro tempo, e non ci sono modalità alternative o motivi particolare per rigiocare la trama. Segnaliamo infine che il gioco è interamente doppiato in inglese con sottotitoli italiani non curatissimi ma comunque comprensibili.
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