Recensione - Legacy of Kain: Soul Reaver 1-2 Remastered
Il Gioco
Fa un certo effetto ritrovarsi a scrivere la recensione di Legacy of Kain: Soul Reaver 1-2 Remastered, una raccolta che comprende due capitoli di una delle epopee più affascinanti e coinvolgenti uscita decenni fa. La saga sviluppata nell’arco di cinque capitoli tra i team di sviluppo di Silicon Knights e Crystal Dinamics (attuale detentrice dei diritti), ci vede catapultati nel regno di Nosgoth, una terra immaginaria dal sapore di un sanguigno Dark Fantasy, assai affascinante e oscuro. Come accennato il franchise è composto da cinque capitoli che comprende anche Blood Omen 1, Blood Omen 2 e Defiance, ma è solamente con il primo Soul Reaver che la saga si impone come successo commerciale vendendo all’epoca ben 1,5 milioni di copie. Numeri che oggi possono far sorridere, ma che in quel periodo erano il segno di un successo commerciale garantito. Per questo motivo appare sensato riproporre i due capitoli più amati della saga, proprio in concomitanza con il venticinquesimo anniversario del primo Soul Reaver. Una magica epopea che i nostalgici ricordano con più affetto, nella speranza di vedere prima o poi l’arrivo un nuovo capitolo della saga.
MX Video - Legacy of Kain: Soul Reaver 1-2 Remastered
In Soul Reaver interpretiamo Raziel, un potente vampiro al servizio di Kain, signore oscuro di Nosgoth nonché protagonista dei capitoli Blood Omen. Kain è il vampiro più antico e potente, che nel corso dei secoli è riuscito a plasmare il suo regno nelle terre di Nosgoth, in una lotta continua contro gli esseri umani e il suo ordine di sacerdoti Sarafan, nobili cavalieri il cui scopo è annientare la minaccia dei vampiri una volta per tutte. Le cose prendono una brutta piega per Raziel quando in un gesto di arroganza osa sfidare Kain, il quale per ripicca lo uccide e lo fa gettare negli abissi dell’inferno. Ma il fato ha ben altro in serbo per Raziel, il quale dopo secoli di sofferenza e atroci dolori, viene riportato alla vita da una antica divinità per trasformarlo nel suo mietitore di anime. Deturpato e deforme, Raziel giura vendetta contro Kain e inizia così il suo viaggio verso Nosgoth. Ma molti secoli sono passati dal suo omicidio e molte cose sono cambiate, per un’impresa che spingerà Raziel oltre i confini del Regno e del tempo.
Non intendo dilungarmi oltre nell’illustrare l’incipit narrativo, anche perché dopo un quarto di secolo risulta tutt’ora affascinate e dannatamente ben scritto, ponendosi come inatteso incentivo piuttosto considerevole anche per quella fascia di giocatori che si affacciano all’opera per la prima volta. Ma cosa è dunque Soul Reaver? Di base non è altro che un action in terza persona, figlio dell’epoca in cui è uscito. Il primo capitolo fu rilasciato su Playstation 1 nel 1999 mentre il secondo uscì su Playstation 2 nel 2001, e nonostante lo stacco generazionale che li separa, giocandoli assieme risulta molto più marcato il fatto di come essi siano essenzialmente la stessa opera divisa in due parti. Dopotutto il primo Soul Reaver non ha un vero finale, rimandando il climax nel seguito. Le differenze tra i due giochi sono minime, se non una maggiore mole poligonale e ricchezza di dettagli nel secondo capitolo, ma entrambi mantengono la stessa struttura, il feeling nei combattimenti, nei controlli e nel respiro di gioco. Ci si muove per questo open-world cupo e decadente, esplorando gli scenari sempre diversi, risolvendo enigmi e combattendo contro nemici più o meno resistenti, tramite un semplice sistema di combattimento.
Nei momenti in cui Raziel deve combattere, il sistema prevede un tasto per lockare il bersaglio, un tasto per schivare, un tasto per un attacco normale e un tasto per un attacco pesante. Tutto qui, non ci sono abilità speciali o combo devastanti. Ma non lasciatevi ingannare da questa apparente semplicità, perché il gioco nasconde delle gemme di game design che anche oggi dopo tutti questi anni riescono a coinvolgere il giocatore. Raziel può raccogliere armi come lance e alabarde, necessarie per eliminare i nemici. Infatti, eccetto per gli umani, ogni nemico non morto o vampiro presente nel gioco va eliminato sfruttando tre tecniche fondamentali: bruciandolo attraverso torce e falò, impalandolo con armi o spuntoni, oppure gettandolo in acqua e dissolvendo così le loro carni non morte. A queste opzioni si aggiunge anche la spada chiamata “Mietitrice d’Anime”, una lama energetica che si manifesta dal braccio di Raziel ma disponibile solamente se la barra della salute è piena al 100% (nel secondo capitolo invece si può evocare in qualunque momento, ma con un prezzo da pagare…).
Se questi elementi sono più che sufficienti a rendere i combattimenti più impegnativi e strategici, sul fronte dell’esplorazione c’è un’altra capacità di Raziel che rende il tutto ancora più stimolante. Il vampiro infatti, grazie alla sua condizione di Mietitore, può passare dal Regno Materiale al Regno Spettrale in qualsiasi momento, mentre per ritornare a quello materiale è possibile farlo solo in determinate zone sparse (abbondantemente) per gli scenari. Passare al reame spettrale farà deformare lo scenario, rivelando magari strade nascoste o indizi utili a superare certi enigmi. In quei momenti in cui è spettro però, Raziel non può aprire porte, afferrare o spostare oggetti, rendendo lo spostamento tra i vari piani di esistenza fondamentale per proseguire nell’avventura. Gli enigmi presenti sono stimolanti e a tratti impegnativi, discorso diverso invece per gli scontri con i Boss, che risultando più semplici rispetto all’originale. Questo è dovuto sicuramente per la modernizzazione del sistema di controllo, che ha aiutato in questo frangente, slegandosi dalla legnosità di comandi cuciti attorno a dei controller che nemmeno sfruttavano l’analogico. Se il gioco continua a mantenere un’esperienza appagante e coinvolgente, la domanda da porsi è: questa remastered cosa porta con sé?
Come è stato fatto per la trilogia di Tomb Raider, anche in questo caso Aspyr ed Embracer hanno optato per un lavoro che resti il più fedele possibile all’opera originale, infondendone però con una veste nuova e cucita perfettamente attorno. Abbiamo quindi dei modelli rifatti da zero per tutti i personaggi, uniformati perfettamente tra i due giochi. Le texture ora sono più rifinite e dettagliate, soprattutto in Soul Reaver 1, dando maggiore vita agli scenari. Anche il sistema di illuminazione è stato migliorato, donando così una profondità notevolmente superiore in diversi scenari, complice anche un campionario di effetti più aggiornato, con elementi come fiamme e fumo ora molto più recenti. Non mancano anche aggiunte che migliorano la qualità della vita del giocatore, come una world map, una bussola a schermo, suggerimenti per i puzzle e altre piccole chicche, tutte però confezionate nel rispetto dell’opera originale che non sbilanciano di molto l’esperienza. Inoltre per chi volesse rivivere entrambe le opere nella loro veste autentica può disattivare tutte le novità, compresa la nuova veste grafica, in qualunque momento.
Da segnalare anche la ricca abbondanza di extra presenti nella raccolta, una quantità di materiale in qualità e quantità irreprensibile. Oltre la colonna sonora, numerosi bozzetti, foto, artwork, dietro le quinte e backstage, sono da elogiare la presenza di una specie di codex che permette di apprendere tutta la mitologia di Nosgoth e l’inserimento di una manciata di livelli giocabili inediti. Questi livelli del primo Soul Reaver, il cui movente dello scarto è da imputare alla mancanza di tempo a ridosso del lancio, ora sono completamente giocabili seppur con alcune limitazioni. Parliamo di vere e proprie parti di storia, regioni della mappa e abilità di Raziel, che per quanto non siano state inserite all’interno del gioco vero e proprio (probabilmente per evitare di sbilanciare l’opera) è comunque un piacere poterle riscoprire. Niente da dire sul versante sonoro, che ripropone la poderosa colonna sonora originale e lo stesso eccezionale doppiaggio in italiano dell’epoca, impreziosito da una scrittura aulica e ricercata, che dovrebbe far di tremare di paura molte produzioni moderne tripla A.
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