Recensione - Broken Age
Il Gioco
Broken Age è un’avventura punta e clicca di stampo classico, che ci prende per mano e ci riporta al tempo in cui Lucas Arts sfornava anno dopo anno quelle che sarebbero divenute intramontabili icone videoludiche, come Guybrush Threepwood e Manny Calavera, che fortunatamente i più giovani di voi lettori possono avere ancora oggi il piacere di conoscere e apprezzare, mediante le trasposizioni in alta definizione delle avventure punta e clicca dei tempi d’oro dell’industria. Broken Age appartiene proprio a quell’universo videoludico remoto che oggi torna a vivere grazie a progetti indipendenti finanziati mediante crowdfunding, come in questo caso, in cui Double Fine ha raccolto una più che generosa somma di denaro dai backers di tutto il mondo, avviando così lo sviluppo del titolo. Del resto c’era da aspettarselo, soprattutto quando il creative director del gioco è Tim Schafer che per anni ci ha deliziato con le sue geniali creazioni videoludiche, tra cui Grim Fandango, che ha ricevuto proprio di recente una trasposizione in HD per PlayStation 4.Broken Age ci racconta due storie, apparentemente scollegate tra loro, che vedono come denominatore comune due adolescenti: Shay e Vella. Shay è un ragazzo che vive sulla Nostranavis, un’astronave ideata per dare il via all’Operazione Dandelion, progetto spaziale che ha visto pochi fortunati lasciare per sempre il pianeta Loruna ormai privo di risorse e vagare nello spazio al fine di trovare nuovi satelliti floridi da popolare. Shay è condannato a un’esistenza monotona e del tutto priva di pericoli, costantemente vigilato dall’occhio dell’intelligenza artificiale della Nostranavis, che mediante le sembianze della mamma Hope e il papà Ray (nomi che scopriremo essere un omaggio ai genitori dello stesso Tim Schafer) gli impediscono di mettersi in qualsiasi tipo di pericolo o di farsi del male. Il ragazzo passa quindi le sue giornate scandite dai pasti comandati, coccolato e trattato alla stregua di un poppante, giocando alle imprese di un capitano spaziale e prendendo parte a finte missioni di salvataggio di stucchevoli pupazzi di pezza, che annoierebbero persino un bambino di pochi anni. Tutto cambia però quando Shay decide di dare un taglio alla routine della sua vita e, mandando a monte l’ennesima finta missione di salvataggio, finisce in una zona remota della nave dove conosce Marek, un improbabile clandestino della Nostranavis travestito da lupo. Grazie a Marek il ragazzo avrà finalmente la possibilità di vivere una pericolosa avventura, dilettandosi nella ricerca e nel salvataggio di alcune creature in pericolo sparse per la galassia, cosa che lo spingerà anche ad aggirare le severissime misure di sicurezza della nave spaziale per spingersi verso pianeti pericolosi.
Parlando di creature in pericolo non si può non raccontare la storia di Vella, l'altra protagonista del gioco. Fornaia adolescente di Dulcia, un ridente paesello rinomato per i suoi dolci tipici, è purtroppo condannata ad un infausto destino: infatti Vella è stata scelta come vittima sacrificale per placare l’ira di Mog Chotra, una enorme divinità aliena che ogni quattordici anni compare per nutrirsi di giovani donne. La famiglia di Vella reputa questo un grande onore per la loro primogenita, anche se Vella non è dello stesso parere: non solo perché non vuole diventare il pranzo di un mostro gigante, ma anche perché vorrebbe vedere insorgere la sua gente contro Mog Chotra per spezzare questa assurda catena di sacrifici umani. L’unico membro della famiglia a spalleggiarla è suo nonno, ex cacciatore battagliero ma ormai anziano tremolante e vittima della demenza senile. Dopo essere stata celebrata a dovere dalla sua famiglia, comincia per Vella la cerimonia del Banchetto delle Fanciulle, in cui le prescelte del villaggio si agghindano e si circondano da ogni tipo di leccornìa per essere mangiate dal mostruoso alieno tentacolare sotto gli occhi fieri di parenti e amici. Con un po’ di strategia e fortuna, Vella riesce a scampare alla sua fine ingloriosa e grazie ad un grosso pennuto preso al lazo, vola via verso un destino migliore, ma soprattutto verso un’avventura che le farà incontrare tante persone nuove e le farà scoprire cosa si nasconde dietro al mito di Mog Chotra.
Molto altro ci sarebbe da raccontare sulla trama di Broken Age, ma fate i bravi e accontentatevi solo di questa premessa per evitare di leggere spoiler indesiderati. Vi basti sapere che in questo titolo nulla è come sembra e che le due storie di Shay e Vella, in apparenza assolutamente sconnesse tra loro, hanno molto più in comune di quello che possiate immaginare. Il vero punto di rottura della trama avviene alla fine del primo dei due atti, che ha visto i giocatori PC attendere più di un anno per scoprire le sorti dell’avventura e dei suoi protagonisti. Fortunatamente gli utenti console hanno il privilegio di giocarsi questo titolo dall’inizio alla fine senza attese, godendo della bellezza del suo stile grafico bidimensionale ricco di colori acquerello, capace di rendere le immagini quasi dei dipinti in movimento.
Il gameplay rievoca il tipico stile del genere punta e clicca, proponendo un interfaccia essenziale composta da un menu a comparsa, richiamabile attraverso la pressione del tasto triangolo, che ci permetterà di esaminare, utilizzare o combinare tra loro gli oggetti in nostro possesso. Nel suddetto menu avremo anche la possibilità di passare da una storia all’altra impersonando Shay o Vella ogni qual volta lo desideriamo durante la partita. Sullo schermo c’è anche l’immancabile cursore, governabile con l’analogico sinistro, che ci permetterà di interagire con gli elementi dello scenario.
Chi volesse scampare alle fasi di pixel hunting, potrà invece manovrare il cursore mediante la levetta analogica destra: in questo modo si potrà navigare lo scenario col cursore più velocemente passando da un elemento interattivo all’altro. La curva di apprendimento del gioco è molto ben realizzata, gli enigmi basati sulla combinazione di oggetti sono divertenti e richiedono concentrazione e immaginazione per essere portati a termine. Nonostante questo sappiate che le combinazioni tra i vari oggetti sono per lo più logiche e contestuali alle situazioni, per cui non aspettatevi gli astrusi abbinamenti tipo “usa il pollo di gomma con carrucola” celebri di Monkey Island. Inutile aggiungere che anche la scrittura è ben realizzata, seppure non memorabile, ma comunque intrisa dell’ironia e del citazionismo tipico di Schafer, che non risparmia battute e frecciatine durante i siparietti tra i personaggi, anche se lo fa più moderatamente rispetto a quanto ci hanno abituato i capisaldi videoludici del passato.
Per questa ragione Broken Age offre delle tinte più mature rispetto alle altre opere di Double Fine, pur restando sempre un prodotto leggero e sopra le righe, vittima purtroppo anche di qualche sporadica caduta di stile che talvolta annoia e rasenta la frustrazione, specie nelle fasi di backtracking. Ennesimo pregio del titolo è il suo doppiaggio, realizzato da un cast di attori americani del calibro di Elijah Wood, Jack Black e Will Weaton.
Per quanto riguarda la localizzazione italiana, troviamo i sottotitoli e un gran lavoro di traduzione svolto sui cartelli e su tutto ciò che è possibile leggere all’interno degli ambienti del gioco. Una nota di merito va fatta anche alla colonna sonora, composta dai brani di Peter McConnell, compositore di numerosi titoli targati Lucas Arts e Double Fine, e da un sound design ricco di effetti sonori buffi e grezzi che rendono l’esperienza ancora più surreale. Le due storie di ribellione e di cambiamento di Shay e Vella ci terranno occupati all’incirca per 4-5 ore di gioco.
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