Recensione - Medal of Honor: Warfighter
di
Roberto Vicario / Spr1ggan86
P
Il Gioco
Con il loro precedente lavoro, i ragazzi di Danger Close erano riusciti a smuovere un mercato come quello degli FPS bellici moderni che da troppo tempo stagnava dietro una figura deontologica del super soldato americano. Proprio il precedente Medal of Honor - ed in parte Black Ops - era riuscito ad uscire da questo rigido schema mettendo i giocatori nei panni di soldati in difficoltà, umani come tutti noi ed assolutamente non in grado di gestire una situazione in cui la difesa risultava sempre il miglior attacco. In questo nuovo capitolo dobbiamo invece constatare come gli sviluppatori abbiano optato per il ritorno ad una sceneggiatura canonica, che ricalca pedissequamente stilemi che sia in ambito videoludico che cinematografico sono stati ampiamente sviscerati. Temi quale il terrorismo, i drammi familiari di un soldato e la vita da commilitoni sono situazioni già viste che si appoggiano su elementi che non destano, purtroppo, più stupore.Questa scelta trasforma la trama di Medal of Honor: Warfighter in un'escalation di operazioni scontate e di facile intuizione. Intendiamoci, non mancano situazioni esaltanti e che spezzano il ritmo in maniera efficace, ma in linea generale ci troviamo di fronte ad un prodotto sicuramente più banale del precedente. Nei panni di due soldati (Preacher e Stump) giriamo location come Sarajevo, Yemen, Pakistan e l’affascinante Dubai in cerca della solita cellula terroristica che minaccia un attentato su scale globale. La vicenda viene racconta attraverso flashback nel passato e scene nel presente, alternate da una serie di cut-scene che raccontano la vita familiare di uno dei protagonisti costantemente in bilico tra l’agire per il bene del proprio paese o non agire per salvaguardare la stabilità della famiglia.
In questo contesto si insinua una giocabilità che alterna elementi positivi ad altri maggiormente negativi. Se prendiamo ad esempio in analisi il design dei diversi livelli troveremo una serie di scelte poco convincenti che esaltano di più gli spazi chiusi e lineari a quelli più aperti che hanno reso famose serie come Battlefield o lo spin-off Bad Company. Ambienti che mirano ad esaltare un un innovativo sistema di copertura che, tenendo premuto LB, dà la possibilità di uscire dalle coperture in maniera più fluida e realistica. Peccato che gli sviluppatori abbiano talmente insistito nel voler far risaltare questa caratteristica che da elemento positivo diventa un pretesto per appesantire in maniera fin troppo marcata una giocabilità che, a conti fatti, si traduce per tutta la sua durata nella banale formula del copriti, spara e ricopriti.
La stessa intelligenza artificiale non aiuta di certo in questo senso. I nemici - anche a livelli più elevati - risultano statici e passivi. Non cercheranno mai di aggirare o di proporre un’azione corale ma rimarranno dietro la loro copertura porgendo il fianco ai nostri facili proiettili, e l’unico modo per farli muovere sarà lanciare una granata. Concetti obsoleti e superati ormai da tempo da soluzioni più dinamiche e intriganti.
A poco serve variare il gameplay inserendo situazioni a volte riuscite come quelle di guida ed altre meno, come le diverse tipologie di breccia (eccessivamente lunghe e fini a se stesse) se poi la struttura base rimane noiosa e appesantita. A tutto questo bisogna aggiungere una longevità tutt’altro che esaltante, che si attesta sulle 4 ore e mezza. Ben al di sotto anche di concorrenti che non fanno della longevità il loro punto di forza.
Differente il discorso riguardante il multiplayer del gioco, che uscendo dall’anonimato del precedente capitolo offre uno stile ben delineato ed in grado di prendere elementi positivi dai due colossi del genere: Call of Duty e Battlefield. Se la quantità non è sicuramente tra i numeri da ricordare di questo titolo, solamente otto mappe, ben diverso è il level design che sfrutta in maniera sapiente lo spazio per ricreare campi di battaglia, sia ampi che stretti, assolutamente convincenti e divertenti da giocare. Inoltre la presenza di tipologie di soldati diversi ispirati a reggimenti realmente esistenti non fa che aumentare le possibilità di scelta date in mano al giocatore. L’elemento di spicco è però la modalità Fire Team, che permette ad un giocatore di legarsi al suo compagno. Questo sarà sempre visibile a schermo (grazie a dei contorni verdi) e porterà particolari benefici: se il nostro compagna verrà colpito a morte, basterà uccidere il suo assassino in un breve lasso temporale per farlo tornare in gioco, oppure, in caso di morte, potrà decidere di rinascere alle nostre spalle indipendentemente dal punto della mappa in cui ci troviamo. A questo bisogna poi aggiungere una serie di modalità di gioco molto divertenti oltre a quelle classiche come Hot Spot e Home Run.
Sotto l’aspetto tecnico il titolo si appoggia all’ormai famoso Frostbite 2 che purtroppo non viene sfruttato nel modo giusto. La grafica risulta troppo avara non solo di dettagli (lasciando spazio a tantissimi bug) ma anche dell’elemento di distruzione, vero e proprio valore aggiunto di Battlefield 3. Ottimo invece il comparto audio, anche se purtroppo anche in questo caso devo segnalare sporadici bug con gli effetti che si ovattano in maniera non proprio realistica.
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