Recensione - Clive Barker's Jericho
Clive Barker’s Jericho, già dal titolo, mette in chiaro le sue credenziali: Clive Barker. Fin dall’inizio della campagna di marketing del gioco si è calcata la mano sul fatto che il titolo si sarebbe basato su una trama ideata dal genio americano dell’horror splatter, colui che ha dato vita ad alcuni dei più raccapriccianti racconti degli ultimi anni. Non è la prima volta che Barker collabora alla creazione di un videogame, ma è la prima volta che può permettersi il lusso della forza bruta data dalla next-gen. Ogni orrore da lui ideato può prendere vita grazie alla potenza di calcolo delle nuove console. Ed ecco che in questo sconfinato territorio si forma già la prima buca dove il titolo Mercury Steam inciampa: a parte i boss di fine livello e qualche nemico particolarmente dettagliato, i mostri soffrono di una monotonia che si snoda costante attraverso i livelli. E’ chiaro che il crociato senza testa non si vede mai nelle infernali terme romane, ma nei castelli assediati da templari maledetti è l’unico mostro disponibile a terrorizzarci. Lo stesso si verifica anche negli altri livelli: due, facciamo tre, nemici standard per ogni paesaggio che si ripetono ancora e ancora e ancora... di stanza in stanza. Individuato il punto debole i un nemico la prima volta che lo incontriamo, si procede poi con una monotonia in grado provocare terrificanti (almeno quelli) sbadigli, stanza dopo stanza verso la fine del livello e il punto cruciale di tutta la vicenda.
In guerra contro il figlio di Dio
Ma quale vicenda? Semplice: Dio crea il suo primo essere, perfetto, senza sentimenti, asessuato e intelligente oltre ogni immaginazione. Questo risultato spaventa perfino l’onnipotente che decide di relegarlo in un’altra dimensione mentre si appresta a creare qualcosa di meno potente: l’uomo.
Il Primogenito, questo il nome dato alla creatura scartata da Dio, non la prende molto bene (ma non era senza sentimenti?) e decide di vendicarsi di un simile oltraggio. Nel corso dei millenni alimenta l’ odio nei confronti degli uomini e alla prima occasione tenta un colpo di mano per impossessarsi del mondo. Non ci riesce (alla faccia dell’infinita potenza) e viene relegato in una città come un prigioniero nella sua cella. Il Primogenito tenta molte volte di evadere ed ogni volta prende un pezzo di mondo, il quale però viene subito coperto da un altro anello della città, la quale via via si allarga per coprire le sue malefatte. Ma egli non ha nessuna intenzione di mollare la spugna... Ed è qui che entriamo in gioco noi. Posti a capo di una squadra di sette membri di un’organizzazione segreta dotati di poteri paranormali, il giocatore deve entrare in città e, strato temporale dopo strato temporale, deve giungere al cuore del male per infliggerli una ferita in grado di bloccare la sua avanzata.
Tradotto in gameplay, la squadra Jericho deve avanzare attraverso i livelli che riproducono le diverse ere in cui il Primogenito ha tentato la fuga. Seconda Guerra Mondiale, Sante Crociate, Impero Romano, Civiltà Sumera. In ogni livello il compito della squadra è quello di trovare i componenti delle precedenti spedizioni rimasti intrappolati in quella dimensione distorta, farsi dire come aprire la breccia verso lo strato successivo e procedere. Inutile dire che ogni “chiave” per la breccia è nelle tasche dei boss di fine livello, vale a dire di quelli che nel corso del tempo hanno causato l’apertura della breccia.
Per un punto Martin perse la Cappa
La trama ha tutte le potenzialità per dar vita ad un gioco interessante. Ma il rapporto dev’essere reciproco, un buon gioco esalta una bella trama. Purtroppo Clive Barker’s Jericho non si rivela un buon gioco sotto molti aspetti. Quello che dà fastidio è che non soffre di errori macroscopici, di sviste tali da far urlare allo scandalo, ma di tanti piccoli dettagli, o meglio, dell’assenza di tanti piccoli dettagli che rendono la partita difficile da digerire. Andando con ordine i capi d’imputazione sono: sonoro, carisma, giocabilità.
Per quanto riguarda la giocabilità non c’è nulla che non vada nel suo essere FPS, ma nel momento in cui tenta di divenire un FPS di squadra crolla un po’ tutto. I membri della squadra Jericho possono essere controllati dal giocatore che sceglie, tramite il d-pad, quale personaggio controllare. Ecco il primo non-dettaglio, piccolo, ma c’è: la squadra è divisa in due parti, alfa e omega. Durante la campagna possono capitare dei momenti in cui il giocatore è chiamato a usare un personaggio, sfruttare il suo potere e immediatamente prendere il controllo di un altro per procedere. Purtroppo nelle situazioni d’emergenza il meccanismo di cambio può diventare un nemico, soprattutto nelle prime missioni dove i membri hanno la geniale idea di chiamarsi per soprannome mentre sul menù di scelta ci sono i loro nomi veri. Inoltre nelle situazioni più concitate l’azione del giocatore finisce per essere una sola: correre da una parte all’altra della zona di combattimento per rianimare gli amici caduti. E anche qui Clive Barker’s Jericho si dà la zappa sui piedi. Le animazioni sono troppo lunghe per un gioco dove i combattimenti sono alquanto frenetici, visto che si svolgono per lo più in ambienti ristretti. Ed una volta rianimato un compagno ci sono altissime probabilità di cadere a terra, costringendo il giocatore a passare al compagno appena rialzato per salvare il salvatore.
Per variare la monotonia insita in ogni FPS, Mercury Steam ha deciso d’inserire due tipologie di mini gioco: la prima, apprezzabile, consiste in intermezzi dove bisogna premere il giusto bottone con il giusto tempismo (per esempio in un combattimento corpo a corpo con qualche brutto e viscido servo del Primogenito). La seconda, praticamente insignificante, nel momento in cui una frana blocca la strada, un tronco impedisce l’apertura di una porta e così via: non c’è nemmeno il tempo di pensare alla soluzione che una scritta a schermo dice esattamente chi usare e cosa fare... ci si sente degli infanti a passeggio con una mamma che considera il proprio pargolo un imbranato. Senza contare che questi “ostacoli” sono di una facilità esasperante. Infine i boss di fine livello sono i classici cattivoni con un punto debole ed una routine estremamente precisa. Un po’ di colpi al momento giusto e qualche corsa in tondo per evitare di essere colpiti sono la chiave per la vittoria.
L'orrore che non fa paura
Nonostante ci si aspettasse qualcosa di terrificante dalla mente di Barker, Clive Barker’s Jericho non fa paura. Ci sono degli attimi in cui la visuale si muove freneticamente, facendo pensare che stia per arrivare un momento terrorizzante che poi non arriva mai. Se sappiamo di giocare ad un gioco horror, soprattutto se porta una firma così importante, ci aspettiamo qualcosa di terrorizzante, ma qui non arriva mai il salto sulla sedia, anzi, la prima volta che vediamo un mostro sbucare dalla palude possiamo star certi che in tutte le prossime paludi avverrà una cosa simile.
E questo, insieme ad una squadra che ha il carisma di Pong (se non altro lui ha fatto la storia dei videogiochi), rendono il gioco noioso. L’unica cosa che potrebbe spingere a proseguire è la curiosità di vedere questo Primogenito che crea tanti problemi, se non altro per prenderlo a scarpate vista la confusione che ha creato. Questo discorso sul carisma porta ad analizzare uno degli elementi fondamentali in grado di crearlo: il comparto tecnico. Clive Barker’s Jericho, almeno da questo punto di vista, riesce a salvarsi. Il motore grafico non fa urlare al miracolo ma compie il suo lavoro fino in fondo; certo non raggiunge sfarzi di altri FPS più blasonati usciti in questo periodo (Halo 3, Bioshock o Call of Duty 4, scegliete quello che preferite), ma vagare nelle terme romane o nelle fortezze templari ha un suo fascino. I personaggi sono resi abbastanza bene e così anche i loro nemici (anche se, ripeto, manca la varietà); incespica invece la profondità di campo che non riesce a reggere le lunghe distanze, costringendo il gioco a “caricare” una zona man mano che ci si avvicina, anche se in piena vista, dando così vita a dei spiacevoli effetti di popup delle textures (ad esempio un mosaico si compone sotto il nostro sguardo man mano che camminiamo).
Purtroppo a spiccare è solo il motore grafico, che si vergogna dei suoi compagni quali IA e sonoro (la fisica, se non in piccoli frangenti, è pressoché assente). Mentre il sonoro merita un discorso a parte, l’IA è ancora preda di canoni tipici delle generazioni passate. Se il giocatore si avvicina pericolosamente ad un arciere nemico, quello non pensa minimamente di retrocedere, ma semplicemente incocca la freccia e continua a combattere (ovviamente i soldati delle armate cristiane hanno frecce esplosive con le quali nemmeno Rambo può competere). Infine i compagni di squadra, nonostante il duro allenamento militare e paranormale, hanno dei veri e propri momenti di panico che li spingono a ripetere sempre la stessa frase e a rimanere in piedi, sereni, nel bel mezzo dello scontro a fuoco contro i demoni sputati dal corridoio più avanti. Infine per un titolo dove c’è una squadra di sette elementi, non è previsto nessun elemento cooperativo multiplayer (sia esso in Live o a schermo condiviso).
Il doppiaggio Brancaleone
Sentir parlare un qualsiasi personaggio del titolo e buttarsi a terra in preda alle convulsioni è un tutt’uno. Il doppiaggio è qualcosa di stupefacente: un battaglione inglese ha soldati di Cagliari, Bologna e Asti e l’attendente della compagnia sembra un famoso prete di Brescello mandato là dalla Santa Sede in incognito. Uno stesso doppiatore interpreta più personaggi per cui non possiamo quasi mai identificare un personaggio dalla sua parlata (a parte alcuni rari casi). Un soldato afflitto da chiodi nel volto, catene al collo e squarci nell’addome parla con la stessa intensità di un cantastorie dell’Albero Azzurro. Infine il capolavoro: quando viene inserito il disco parte una sorta di filmato dove una voce racconta la storia della squadra Jericho. Man mano che la narrazione procede questa voce suadente e dai toni bassi parla di demoni e dolore. Ma il tono fa sorridere, non sta spaventando il giocatore, piuttosto sta tentando di rimorchiarlo. In mezzo a tutto questo buio un raggio di sole: una colonna sonora degna di nota per i toni epici e mistici che accompagnano il giocatore nei vari livelli, rendendo il gioco piacevole almeno dal punto di vista musicale.
Non particolarmente lungo, scontato nel suo gameplay dove cambiano le ambientazioni ma non le meccaniche e minato da una fastidiosa ripetitività nei nemici incontrati, Clive Barker’s Jericho non fa nemmeno paura: cosa grave visto che porta la firma di un indiscusso maestro dell'orrore. Alla fine della fiera, rimane un cattivo gusto in bocca, qualcosa di amaro che sa di occasione mancata. 5.6
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