Medal of Honor: Warfighter - multiplayer provato alla GC
di
Ruben Trasatti / DarkAp89
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Medal of Honor: Warfighter è il nuovo titolo della serie videoludica sviluppata da Danger Close che promette una campagna molto più spettacolare e un online più profondo e curato. Dal punto di vista tecnico Electronic Arts punta tutto sul Frostbite 2, lo stesso motore grafico che muove Battlefield 3 impiegato anche nel nuovo Army of Two, per regalare ai giocatori degli scenari più realistici con tanto di elementi distruttibili. Da una parte il single player manterrà la consulenza e la supervisione da parte degli operatori militari Tier 1 con la differenza che questa volta oltre alle singole battaglie verranno anche messe in risalto le vite dei soldati, le loro preoccupazioni e le loro vicende familiari; dall’altra il comparto multigiocatore promette di avvicinarsi agli standard degli sparatutto bellici moderni con un gameplay molto più variegato e una veste accattivante, pur cercando di differenziarsi dai popolarissimi CoD e Battlefield.
Cosa abbiamo visto
La prima modalità messa nelle mani dei giornalisti a Colonia è stata “Home Run”, dove due squadre composte da quattro giocatori ricoprono il ruolo di attaccanti e difensori con l’obiettivo di conquistare o proteggere una delle due bandiere presenti sulla mappa. Nel caso degli attaccanti, questi dovranno cercare di trovare una via d’accesso meno sorvegliata dell’altra e tentare di portare la bandiera alla propria base senza farsi uccidere; al contrario, i difensori non dovranno permettere in alcun modo di farsi rubare la bandiera e nel caso ciò avvenisse il loro compito è quello di eliminare nel minor tempo possibile chi la sta portando. Nel corso della partita i ruoli si scambiano ogni certo numero di round, per cercare di dare a tutti le stesse possibilità e anche per variare un po’ il gioco; le mappe sono molto piccole in modo da concentrare l’azione ed ottenere turni abbastanza veloci. Una volta uccisi, non c’è possibilità di respawn fino all’inizio del round successivo: si tratta perciò di una modalità Cattura la Bandiera a turni e ad eliminazione.
Nel corso della mia prova, gli sviluppatori hanno deciso di farci disputare due partite complete di Home Run perché la prima si è rivelata veramente breve: la squadra in cui ero presente ha praticamente vinto ogni singolo turno, sia nel ruolo di attaccanti che in quello di difensori. Questo potrebbe rappresentare un problema una volta che il gioco sarà arrivato nei negozi: si sa, i giocatori si innervosiscono facilmente e se credono di perdere ingiustamente e le critiche sul gioco e sulle connessioni aumentano esponenzialmente. In questo caso si è trattato probabilmente di questione d’abitudine da parte della squadra avversaria, che forse non ha subito intuito il concetto della modalità. Nella seconda partita, questa volta molto più equilibrata e longeva, ho potuto finalmente osservare meglio le meccaniche in gioco: se da una parte si tratta di una modalità diversa dal classico CLB/CTF e i ruoli di difensori vanno appunto rispettati, non è accettabile al giorno d’oggi che un titolo favorisca in maniera così plateale il fenomeno dei campers. I difensori possono tranquillamente dividersi in due, attendere dietro l’angolo o nascondersi tra i cespugli e uccidere subito chi tenta di avvicinarsi alla bandiera; oppure, cosa ancor più fastidiosa e che andrebbe assolutamente risolta dagli sviluppatori, i difensori possono letteralmente ignorare le bandiere e dirigersi direttamente alla base degli attaccanti per attenderli con tanto di tenda piazzata e pic-nic a base d’armi pesanti. Riguardo quest’ultimo punto, si puotrebbe adottare un meccanismo simile a quello del Live Arcade “Blacklight: Tango Down” dove le basi erano protette da barriere o torrette automatiche che non permettevano ai nemici di penetrarvi: piazzarsi direttamente nella base degli attaccanti, attendendo l’arrivo della bandiera, significa semplicemente smontare completamente l’intera modalità che così non ha più senso di essere vissuta nella maniera in cui era stata concepita. Se tutto ciò è avvenuto in una playlist riservata alla stampa, è facile immaginare cosa accadrà con i normali giocatori.
La seconda modalità presentata a Colonia da Danger Close, che però non ho potuto provare per via della decisione presa dagli sviluppatori di farci giocare due partite della Home Run, è stata “Hotspot”: qui i giocatori (10 contro 10), in lotta in una mappa decisamente più vasta, hanno il compito di portare a termine una serie di obiettivi (come la conquista e la difesa di una determinata posizione oppure l’attivazione e il disinnesco di esplosivi). A rendere più viva l’esperienza di gioco ci sarà la divisione dei team in sotto-squadre che potranno organizzarsi e comunicare separatamente, dando vita così a varie strategie di gruppo e ad una bella complicità tra compagni come visto nella serie di Ghost Recon ma anche nello stesso Battlefield di DICE.
Lasciando da parte le modalità di gioco, la caratteristica che più ho apprezzato di Medal of Honor: Warfighter è stata la varietà delle classi messe a disposizione dal team di sviluppo: 6 diverse classi (Assaulter, Point Man, Heavy Armored, Sniper, Spec Ops, Demolition) con protagoniste ben 12 diverse forze speciali (per ogni classe si possono scegliere tra due diverse forze armate, da quelle statunitensi a quelle giapponesi), ognuna dotata del proprio equipaggiamento, delle proprie armi, delle proprie abilità e specializzazioni uniche. La parola d’ordine è quindi “varietà”, perché il giocatore non sarà mai stanco di provare le diverse classi e le diverse fazioni per costruirsi con il tempo uno stile di gioco tutto suo. Ho potuto provare nel corso delle due partite ogni singola classe, apprezzandone sempre tutte le caratteristiche, favorendo comunque la classica Assaulter e le veloci Point Man e Spec Ops; tra le classi che invece in quest’occasione non si sono rivelate molto utili sono state lo Sniper e l’Heavy Armored. Essendo una mappa molto piccola, dov’è richiesta un’azione veloce e furtiva nel catturare la bandiera o nel difenderla, lo Sniper richiede troppa precisione e attenzione mentre l’Heavy Armored, come suggerisce anche il nome, è fin troppo lento nei movimenti per non farsi raggiungere dalle forze nemiche.
Infine una piccola nota tecnica: la dimostrazione è stata effettuata su PC utilizzando i controller di Xbox 360. Di conseguenza, sulla grafica non si possono esprimere troppe considerazioni vista la differenza tra le capacità tecniche di un PC di fascia alta e di una console vecchia di 7 anni: sappiamo però bene che il Frostbite 2 nel caso di Battlefield 3 ha garantito un’ottima prestazione tecnica, pur con qualche piccola sbavatura, e quindi lo stesso dovrebbe ripetersi con Warfighter. Quanto visto su PC mi ha comunque generalmente soddisfatto senza pur farmi rimanere di stucco o sorpreso, probabilmente anche a causa della mappa di Home Run che era molto piccola ed in notturna.
Tiriamo le somme
Il multiplayer di Medal of Honor: Warfighter sembra decisamente più variegato rispetto a quanto visto nel precedente capitolo, principalmente grazie alle numerose classi presenti e quindi ai diversi stili di gioco adottabili dai giocatori. Da migliorare è la percezione dei danni procurati dall’arma in uso che a volte sembra non pienamente soddisfare il giocatore, mentre bisogna ancora cercare di limitare il fenomeno campers che si è reso evidente anche in un playtest con poco tempo a disposizione come questo. Per il resto si tratta di un titolo da tenere d’occhio, in particolare per quelli che dopo tanti anni vorrebbero passare dall’altra parte dell’intrattenimento bellico.
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