Recensione - Curse: The Eye of Isis
di
Luca Airoldi / Airluck
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Il mondo egizio su Xbox
Curse: the Eye of Isis approda su Xbox con l'intento di colmare un grosso vuoto nel panorama offerto dalla ludoteca verdecrociata, e cioè la quasi totale mancanza di avventure horror in terza persona stile Resident Evil. Il compito è abbastanza arduo ma vi anticipo subito che Curse, pur non facendo assolutamente gridare al miracolo, centra perlomeno in maniera soddisfacente il suo obiettivo.
Ci troviamo nella Londra vittoriana del XIX secolo, periodo nel quale le scoperte archeologiche in terra egiziana furoreggiano e rappresentano motivo di orgoglio per la madrepatria; proprio in questo contesto, il padre di Darien, protagonista del gioco, scopre in Egitto una statuetta raffigurante la dea Iside e la consegna al British Museum per l'imminente inaugurazione di una mostra sull'antico mondo egizio. La statuetta è però ovviamente protetta da una potentissima maledizione che ben presto getterà il museo, e non solo, nel panico e nel terrore più totali. Questo non accade automaticamente, ma soltanto dopo il tentativo di furto della statuetta nella notte precedente l'inaugurazione del museo: tutto ciò fa scatenare la maledizione che si manifesta tramite una nube giallastra vagante per le stanze del museo, capace di impossessarsi di tutto il personale tramutandolo in schiere di non-morti.
L'arduo compito di fronteggiare la situazione riguarda ovviamente il malcapitato Darien, ingegnere, che tra le altre cose ha sempre nutrito una profonda indifferenza nei confronti della passione del padre egittologo. Egli non sarà però solo, ma verrà aiutato da Victoria, ricercatrice del museo (controllabile nelle fasi avanzate dell'avventura) e Abdul Wahid, un omaccione egiziano in qualità di "guru".
Addentriamoci ora nel vivo dell'azione.
Espolare, sparare e...
Come affermato in precedenza, Curse riprende quelli che sono i punti fissi del maestro Resident Evil: il controllo del personaggio (in terza persona) avviene all'interno di ambienti con inquadrature fisse, ambienti che vanno esplorati da cima a fondo alla ricerca di oggetti, chiavi e medicinali. A popolare le varie stanze ci penseranno gli zombie impossessati dalla maledizione e gli scagnozzi di un tale Bupo, ricco mercante greco voglioso anch'egli di fare propria la statuetta di Iside.
L'azione principale (e purtoppo un po' ripetitiva) sarà dunque quella di proseguire nelle varie stanze alla ricerca di chiavi per aprire nuove locazioni, sbaragliando i mostracchioni di turno. La linearità con la quale si svolgono gli eventi è pressoché totale, e sarà proprio questa linearità che, unita alla esigua originalità globale, provocherà spesso momenti di frustrazione. Questo però non significa che l'avventura sia vuota e banale, prova ne sono i balzi dalla poltrona che farete in alcune occasioni dense di terrore ed apprensione.
Se infatti l'impatto generale che offre Curse è generato da elementi che si attestano sul livello della sufficienza data più che altro la già accennata limitata originalità, due sono gli elementi che meritano una particolare sottolineatura: da una parte l'oculata gestione della telecamera che inquadra l'ambiente in cui ci si muove, e dall'altra l'utilizzo degli effetti sonori.
Il risultato che si ottiene è un ottimo coinvolgimento, caratterizzato da un'atmosfera profonda e particolare. Infatti, ogniqualvolta si entra in una stanza o in un corridoio, la visuale offerta non è piuttosto ampia (tranne in determinate eccezioni) ed è proprio questo il fattore decisivo: il fatto di non poter scorgere cosa ci possa essere poco oltre il nostro personaggio aumenta a dismisura il senso di timore ed agitazione, coinvolgendo pienamente il giocatore.
A tutto ciò si unisce l'orecchio: quello che non si può vedere si può in effetti sentire… rumori di passi, grugniti e grida al di là degli angoli o oltre le porte. Questi sono senz'altro elementi positivi che hanno come scopo quello di creare un'atmosfera inquietante e coinvolgente.
Giocare con la maledizione
La realizzazione tecnica è invece altalenante: gli scenari di gioco, sebbene vari (si parte dal museo per poi passare a stazioni ferroviarie, porti e ovviamente piramidi) sono poco caratterizzati e piuttosto anonimi; le texture sono ammirabili in alcuni momenti (vedi il pavimento in parquet di alcune stanze del museo, per fare un esempio) ma piuttosto scialbe in altri (soprattutto per quanto riguarda i personaggi). Convincente la gestione della luce che deriva dalla lampada ad olio di Darien ma da dimenticare la proiezione delle ombre dinamiche in alcuni momenti di gioco (chi ha detto Splinter Cell??). L'impatto grafico generale che scaturisce da quanto osservato prima non è però deludente, ma si attesta su livelli decisamente sufficienti, senza voler spingersi oltre.
Buono è invece, come dicevo, il comparto sonoro: al di là di qualche leggera pecca (i passi di Darien alla lunga stancano), gli effetti e le musiche sono azzeccate. Molto spesso ci troveremo nel più assoluto silenzio quando, tutto ad un tratto, un cigolio, uno stridio o un urlo, accompagneranno l'inaspettata entrata in scena di qualche lurida creatura. In questo senso giocare con un impianto dolby digital 5.1 può senza dubbio giovare all'azione di gioco e aumentare ancora maggiormente il già buon coinvolgimento. Il doppiaggio è in inglese, discretamente realizzato, con testo a video in italiano.
Passiamo ora a tutto quello che riguarda il controllo di Darien. Devo rilevare che ciò emerge fin dai primi passi è un po' la macchinosità dei comandi. Se infatti muovere Darien risulta abbastanza intuitivo, come anche esplorare tutto ciò che ci sta attorno tramite il tasto A, più complicata è la gestione delle armi e degli oggetti, oltre che degli scontri con i nemici. Per poter infatti usufruire di un oggetto prima raccolto (per esempio una chiave, cosa che ovviamente capiterà sovente) bisognerà ogni volta accedere al proprio inventario tramite il tasto NERO, scorrere le varie sezioni, trovare l'oggetto desiderato e infine premere A per utilizzarlo. Inutile sottolineare come tutto ciò rallenti l'azione, soprattutto, ripeto, nel caso di apertura di semplici porte chiuse a chiave.
Stesso discorso vale per le armi e per gli scontri: visto infatti che le categorie di nemici sono essenzialmente due, gli zombie e gli scagnozzi di Bupo, e che i primi vanno combattuti con armi bianche perché molto veloci (strano, solitamente i non-morti sono lenti… ma questi sono anche maledetti!) mentre i secondi con armi da fuoco, poter agilmente passare da un'arma all'altra è un requisito fondamentale. Molto spesso infatti scorgeremo in lontananza uno zombie, imbracceremo il fucile e inizieremo a massacrarlo fino a quando ci balzerà addosso; a questo punto però dovremo passare all'arma bianca, entrare quindi nell'inventario e svolgere la solita noiosa procedura di modifica dell'arma. Tutto molto macchinoso.
Con l'avanzamento dei livelli e quindi con una buona dose di allenamento sulle dita questo inconveniente potrà però essere reso meno decisivo, se non addirittura quasi eliminato.
A livello di artiglieria disponibile, Darien avrà modo di maneggiare manganelli, fucili a pompa, carabine e addirittura uno spettacolare quanto divertente lanciafiamme. Alle armi si aggiungono poi i sali curativi contenuti in sacchetti sparsi per le locazioni e bottigliette di mentolo: i primi servono a rigenerare l'energia vitale del protagonista, mentre il mentolo ha lo scopo di eliminare la maledizione nel caso in cui Darien abbia accidentalmente inalato parte della nube giallastra maledetta vagante.
Da sottolineare è inoltre la possibilità di poter impersonare anche Victoria, amica di Darien anche se ciò non muta sostanzialmente quelli che sono i comandi di gioco.
Particolare menzione va fatta per il metodo di salvataggio: l'unico modo per poter salvare i progressi di gioco è infatti quello di recarsi da Abdul. Il problema sta nel fatto che tale Abdul si diverte sovente a cambiare posizione all'interno dell'ambiente di gioco: sarà dunque essenziale ricordarsi i suoi movimenti per poter salvare i progressi dell'avventura. A ciò si unisce il fatto che Abdul funge anche da "contenitore" presso il quale poter lasciare in custodia oggetti o armi che altrimenti non troverebbero posto nell'inventario di Darien (esattamente come i "cassettoni" di Resident Evil).
Per aiutare l'orientamento è disponibile in ogni momento una mappa, attivabile premendo il tasto X una volta entrati nell'inventario.
Maledizione infinita?
L'esperienza di gioco non risulta più di tanto difficile, se non nei livelli più avanzati dell'avventura o nella modalità "hard". La scarsa difficoltà ha però come effetto positivo quello di non provocare una frustrazione eccessiva (data la già accennata difficoltà nei controlli); dopotutto l'impulso per proseguire nell'avventura è sempre vivo, vuoi per l'atmosfera, vuoi per la curiosità di scoprire nuove armi e nuove locazioni. Certo è che una volta completato, difficilmente si potrà trovare lo spunto per riprendere in mano Curse.
In definitiva ci troviamo di fronte ad un gioco senza dubbio interessante, caratterizzato da elementi piacevoli e coinvolgenti (atmosfera, sonoro) ma anche da qualche difetto evidente; l'impressione è quelle di avere tra le mani un buon titolo minato forse da una giocabilità non proprio esaltante e dalla mancanza di una forte personalità.
L'esperienza resta comunque godibile specialmente se amate il genere "survival horror"; anzi, direi che in questo caso un pensiero a Curse: the Eye of Isis diviene d'obbligo, considerata inoltre l'effettiva assenza di rivali degni di nota nel parco giochi Xbox.
Ringraziamo Microids per la collaborazione. 6.4
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