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Recensione - BattlebornXbox OneGame

Dopo il successo di Borderlands, Gearbox torna a maneggiare meccaniche con le quali ha già dimostrato di saper creare opere degne di nota per dare vita ad una nuova IP: Battleborn. Quello che segue è il resoconto di scontri a fuoco caotici e colorati, dove i combattenti migliori dell’universo si sfidano per l’ultima stella rimasta.

Il Gioco

Se analizzate con ordine e disciplina, anche le cose all’apparenza più complesse possono essere smontate e ricondotte alle fondamenta che le hanno generate. Battleborn è un caso abbastanza emblematico di ciò, dove molte meccaniche lavorano insieme per creare un titolo all’apparenza contorto ma che di fatto si basa su due concetti facilmente assimilabili: varietà e variazione. Classificato come MOBA, semi-MOBA, Hero Shooter e via dicendo, il titolo di Gearbox non è altro che uno sparatutto quasi totalmente dedito al gioco online, con il particolare di aver spostato il focus non tanto sulla crescita del personaggio quanto sulla creazione di un cast variegato e malleabile che spinge il giocatore a provare costantemente nuovi personaggi e opzioni. In genere un titolo che vede la sopravvivenza del nostro avatar personalizzato anche dopo la fine della partita ci vede impegnati a collezionare oggetti e livelli per rifinirlo al meglio e prepararlo per lo scontro successivo, ma in Battleborn questa mentalità è quasi completamente annullata. Nel momento in cui si accende la console per tuffarsi nel nuovo universo immaginato da Gearbox si ha a disposizione una rosa di venticinque personaggi, ognuno dei quali appartenere ad una categoria precisa ed ha delle abilità peculiari ben definite e inalienabili.

Durante la partita queste due abilità (tre, contando anche un colpo speciale che si sblocca in fase avanzata del match) possono essere potenziate al raggiungimento di ogni nuovo livello (che qui salgono molto più velocemente visto che ad ogni matci si inizia dal livello 1), per un massimo di dieci, scegliendo fra due opzioni. Di fatto si hanno venti possibili modifiche, ma in un singolo match ad ogni avanzamento di livello bisogna ogni volta selezionarne una di due, rinunciando così alla metà di esse. Come accennato, la novità sta nel fatto che al termine dell’incontro o della missione questi progressi vengono azzerati, portandoci così a ricominciare dal livello 1 il match successivo. Questo stile di gioco riesce a non essere frustrante grazie al fatto che i diversi personaggi sono ben delineati, diversificati e divertenti da provare. Nel momento in cui tutti iniziano l’incontro alla pari, per il giocatore ci sono meno remore ad abbandonare il porto sicuro di un personaggio conosciuto per provarne uno nuovo, magari completamente diverso nello stile di gioco.

MX Video - Battleborn

Battleborn permette al giocatore di testare questa nuova variante del genere in tre modalità: PVP, dove due squadre da cinque giocatori si affrontano in tre diverse modalità; PVE, la campagna affrontata in compagnia di combattenti umani ed infine la campagna in singolo, uguale a quella del gioco in cooperativa ma molto più noiosa. In tutti e tre i casi ad arricchire le partite, oltre al concetto dei dieci livelli prima descritto, ci sono dei modificatori che influiscono sulla velocità di recupero delle abilità speciali, sul movimento, sugli scudi e via dicendo. Su tutto poi ci sono dei frammenti scintillanti spendibili durante le partite per attivare delle torrette o l’equipaggiamento impostato sul personaggio – che di fatto è l’unica cosa permanente di Battleborn.

Tutto questo mette in moto un meccanismo nel quale il giocatore parte subito al massimo per poter sbloccare il prima possibile i dieci livelli e ottenere quel minimo margine di vantaggio capace di portare la propria squadra alla vittoria. Nel PVP le tre modalità corrispondono un poco agli stilemi del genere: una modalità vede come obbiettivo primario la cattura di specifici punti della mappa - un dominio in sostanza - mentre le altre due puntano tutto sulla protezione di bot e la distruzione di quelli avverarsi nel tentativo di avvicinarsi alla base nemica per abbattere l’ultimo baluardo, definibile come bot-boss. L’alternanza delle mappe è scarna offrendo due mappe per ogni modalità, ma il team di sviluppo ha già fatto sapere che Battleborn è un titolo destinato ad espandersi. Tutto il titolo comunque non sfocia mai nel tattico o nell’organizzato, puntando le sue fiches sull’allegra confusione già vista nella saga di punta della software house texana.

Amore

Bello perché vario

- Come già detto, il punto di forza di Battleborn è il suo cast. Una volta di fronte al gioco ci si rende conto che venticinque personaggi è un numero considerevole, visto soprattutto che ognuno è completamente diverso dagli altri. Andiamo dal classico armadio armato di mitragliatrice a canne rotanti all’elfo munito di arco e frecce, passando per il robot steampunk cecchino, il samurai giapponese con le lame ad energia, il classicissimo marine spaziale e avanti così per altre venti e passa volte. Ogni personaggio ha un’arma, un colpo in corpo a corpo e due abilità precise, che come già detto non possono essere cambiate. Chi ama provare sempre cose nuove andrà a nozze con questo concetto, divertendosi ad testare i vari personaggi di partita in partita visto che non ci sono avanzamenti o oggetti da perdere quando si passa dall'uno all'altro. Ed il tutto è condito dalla comicità per la quale Gearbox si è distinta come una delle poche realtà che sanno ancora far sghignazzare l’utente durante le sue scorribande virtuali. Il mio personaggio preferito, il Marchese, è un robot steampunk dedito al combattimento sulla lunga distanza, di fabbricazione Tedesca e nobile. Per questo durante le battaglie non perde tempo a sfottere gli avversari - ma ho il sospetto anche i compagni di squadra - con battute quali “Salve, poveracci! Metti anche questo nel tuo sacco da barbone! Comprati un cranio più resistente…” il tutto condito dall’accento germanico che lo eleva al di sopra della semplice plebaglia impegnata insieme a lui.

Si combatte a lungo

- Sia il PVP che il PVE offrono partite di una certa lunghezza. Nel primo caso il cronometro ha uno conto alla rovescia che parte da oltre venti minuti, mentre nella cooperativa le missioni sono abbastanza lunghe, tanto da offrire diversi mini-boss prima di quello finale. Insomma Battleborn è un gioco che può essere approcciato facilmente ma che richiede un quantitativo di tempo non indifferente nel momento in cui si inizia a giocare. Se poi decidete di affrontare le missioni in completa solitudine, il tempo si allunga ulteriormente per ovvii motivi.

Intro anime

- Già da filmato introduttivo ci si trova davanti ad una perla. Gearbox ha scelto di introdurre le missioni con degli spezzoni animati molto stilosi e belli da vedere, anche se notevolmente diversi dallo stile grafico poi effettivamente utilizzato in-game.

Odio

La lunga attesa

- Malgrado una volta in partita tutto si faccia veloce e frenetico, l’attesa potrebbe risultare snervante. Non tanto per problemi di server, il tempo medio per agganciare una partita non è particolarmente più dilatato rispetto a tanto altri colleghi dell’online, ma per una serie di scelte precise che dovrebbero essere rivedute. Si parte scegliendo il PVP e aspettando che trovi la partita, diciamo due minuti. Poi si vota tutti insieme la mappa e la modalità. Un minuto. Infine si sceglie il personaggio, qui il countdown parte da 90 ciccionissimi secondi. Una volta che tutti hanno scelto il proprio alter-ego c’è una breve presentazione della squadra, diciamo 30 secondi, e un ultimo caricamento prima della partita, facciamo altri 30 secondi. Risultato totale? Cinque minuti, con possibilità di lievitazione se ci vuole di più a trovare il match o a caricare la mappa. Fortunatamente una volta in gioco le partite, come già detto, hanno un cronometro abbondante… a meno che, specie in PVE, i compagni di squadra non decidano di abbandonare. In quel caso è possibile andare avanti lo stesso ma con il rischio di fallire dopo una lunga partita, portando a casa il nulla. Ebbene sì! Se durante una missione si fallisce l’obiettivo del momento o si terminano le vite a disposizione (in condivisione con gli altri membri della squadra) si viene mandati tutti sotto le docce senza diritto di replica. Uno scenario frustrante, soprattutto quando si concretizza dopo tipo quaranta minuti di gioco.

Vorrei dare un senso a questa storia

- Battleborn ha una trama, ma nonostante provi a far scorgere qualcosa di “complesso” alle spalle non ci riesce nel modo più assoluto. Sembra quasi che gli sceneggiatori di Gearbox ad un certo punto dello sviluppo siano stati invitati ad abbandonare la stanza, che i game designers avevano bisogno dei tavoli. In soldoni, tutte le stelle dell’universo si sono spente eccetto una, verso la quale convergono tutte le fazioni di essere senzienti capaci di viaggiare nello spazio. Scopo dei loro viaggi, ovviamente, è quello di sfruttare l’energia della stella per sopravvivere. Basta. Sì abbiamo il cattivo della situazione e i buoni, ma sono buttati nell’arena della narrazione senza alcun riscaldamento, con una discreta confusione e con un colpo di grazia finale che non lascia nessuno scampo: in cooperativa le missioni non vengono infilate secondo un ordine cronologico ma i giocatori votano, la democrazia vince e il nuovo arrivato si becca una missione completamente random, fosse anche l’ultima della campagna. Insomma, Battleborn approccia lo stile Memento.

Sulla lunga distanza

- Come già detto, le mappe a disposizione per il PVP sono solamente sei, le modalità tre. In PVE le missioni vengono offerte in ordine sparso (e comunque, sommate, non superano le otto ore di gioco a difficoltà standard). Tutta la forza di Battleborn si basa sulla voglia dei giocatori di andare in giro a sparare e far casino, tanto che chi apprezza prendere sotto la sua alla un personaggio preciso, portarlo avanti, dvederlo crescere, in Battleborn dopo qualche missione si trova ad affrontare un nemico mortale: la noia. Dopo aver provato diversi personaggi, le modalità di gioco e le missioni della campagna, mi sono trovato a pormi una domanda: perché lo faccio? Il gioco non è tattico - a meno che di non volerlo rendere tale nei livelli di difficoltà più avanzati - e che ci sia una squadra formata da amici o sconosciuti non fa differenza perché non siamo, per dire, in The Division dove è bene coprirsi le spalle a vicenda e pensare con un minimo di attenzione alle abilità con le quali scendere in campo. Battleborn è caos, cagnara. Vai, scegli il personaggio, spari, lo rendi più forte, finisci la missione, ricominci. Molti possono apprezzare questa scelta, interpretabile anche come “leggera”: pochi pensieri, non rischio di incontrare il giocatore di livello doppio rispetto al mio che mi sgretola come porcellana, ho sempre una possibilità e se va male posso provare un'altra via. Ma il rischio di sentirsi divorare da un effetto Destiny è forse più forte che nello stesso titolo Bungie. E quindi per cosa lo facciamo? La storia? No, è banale e viene pure presentata in maniera scomposta. Il bottino? Praticamente pari a zero. Il senso di sfida? Battleborn non è un gioco difficile. Il lavoro di squadra? Difficilmente percepibile. La longevità? Al momento non risulta un titolo molto vario. A conti fatti Battleborn ha una buona giocabilità, un’idea potenzialmente interessante ma che forse doveva essere sostenuta da qualche ricompensa permanente oltre al solo gusto del gioco e uno stile che ha tanto da insegnare al mondo.

Tiriamo le somme

Sotto tutte le sue schermate di statistiche e personalizzazione, Battleborn è un titolo semplice. Si scende in campo e si spara per vincere. Malgrado la buona giocabilità, figlia dell’esperienza Gearbox, e lo stile intrigante, non è però sostenuto da forti motivazioni capaci di portate i giocatori a gettare l’ancora per lungo tempo. Se amate quindi i giochi creativi e con stile da vendere, e non disprezzate della sana azione multigiocatore soprattutto sapendo che sarete alla pari con gli altri, il gioco potrebbe sicuramente piacervi; il rischio è però che l'effetto novità passi velocemente e, una volta provati tutti gli eroi, rimangano poche motivazioni per farvi tornare nelle arene del gioco.
7.0

Recensione realizzata grazie al supporto di 2K Games e Xbox.


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L'autore

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Un giorno qualcuno gli disse che c'erano altri giochi oltre Age of Empire. Da quel momento è alla ricerca dell'esperienza definitiva, molti sostengono faccia apposta a non trovarla per poter continuare a giocare. Convinto sostenitore de "il voto non fa il gioco", scrive su diversi siti, un paio addirittura creati da lui. Un giorno scomparira nel nulla in un vortice di gameplay, o impazzito scenderà in strada urlando di minacce a New York e brandendo una spada immaginaria.

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i Le recensioni di MX esprimono il punto di vista degli autori sui titoli provati: nelle sezioni "Amore" ed "Odio" sono elencati gli aspetti positivi e negativi più rilevanti riscontrati nella prova del gioco, mentre il voto ed il commento conclusivo rispecchiano il giudizio complessivo del redattore sul titolo. Sono benvenuti i commenti e le discussioni tra chi è d'accordo o in disaccordo con tali giudizi, ma vi chiediamo di prendere atto del fatto che si tratta di valutazioni che non hanno pretesa di obiettività nè vogliono risultare vere per qualsiasi giocatore. La giusta chiave di lettura per le nostre recensioni sta nel comprendere le motivazioni alla base dei singoli giudizi e capire se possano essere applicate anche ai vostri gusti personali.
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